In questo diciassettesimo album di fine anni ottanta vi è un certo recupero del suono e delle atmosfere tradizionali (ossia: rock blues anni ’70) per i Nazareth. Le mode produttive del tempo rendono il disco datato, ma il ritrovato ardore della formazione nel proporre le sue cose lo rendono senz’altro ben ascoltabile.

Animals” apre con un rock blues marziale, ipnotico e prevedibile, variegato da evoluzioni scolastiche di slide guitar. “Lady Luck” che segue subito è ancora blues lento, ma stavolta a ritmo di shuffle, scontato sì, ma bello sudato e rugoso.

Tocca poi a una coppiola di cover di brani ben noti: “Hang On To a Dream” di Tim Hardin è stravolta ma riuscita, malgrado il pestare fuori moda dei tamburi elettronici; ricordo che l’avevano riproposta vent’anni prima anche i Nice del povero Keith Emerson. “Piece of My Heart” poi è proprio quella di Erma Franklin, sublimata per l’eternità dalla grinta disperata di Janis Joplin; questa versione dei Nazareth è trattata in maniera assai AOR, ma per fortuna la resa animosa e schietta del cantante McCafferty la salva da possibili odiatori.

In “Trouble” i Nazareth sono in bolla al cento per cento, con un hard rock non certo epocale ma ben godibile e ben lavorato. Ancora hard rock, ma saltellante in up-tempo e imbellettato di sintetizzatore per “The Key”, graziata da una bella chitarra slide.

Back to School” picchia forte pur con gli scampanellii di tastiera (Yamaha DX7) del tempo, e c’è un consistente assolo di chitarra. Il tutto viene vigorosamente spazzato via dalla pressante “Girls”, quattrocentomillesima ode alle ragazze che generosamente si rendono disponibili per il relax ed il piacere degli stanchi e sudati musicisti dopo i concerti.

Donna, Get Off That Track” si appoggia su di un agile riff di chitarra e poco altro, ma la grinta e la tostezza sono quelle giuste e il gruppo vi suona bene, compatto e ben prodotto; per non parlare del gargarozzo gorgogliante all’esagerazione di Dan McCafferty, nell’occasione indistinguibile da quello di Brian Johnson (AC-DC). “See You See Me” è più ipnotica e distesa, anche se al solito urlata dal frontman da par suo e costituita da poche, semplici cellule ritmiche in continua ripetizione.

Chiude, male, la cover di “Helpless” di Crosby Stills Nash & Young (o meglio di quest’ultimo). Ora, a me anche l’originale di Neil è sempre stata sui marroni, troppo lenta, con quel coro lamentoso che si ripete all’infinito senza possedere, a mio giudizio, le qualità armonico melodiche per rendersi godibile. I Nazareth scelgono poi di far guidare strumentalmente questa riproposizione da una nenia d’organo che ne accresce il tedio. Che vi devo scrivere… è fra le canzoni a cui ho sempre riservato una certa stizza ogni volta che mi è capitato di leggerci o ascoltarci tanti complimenti a riguardo.

Un disco discreto dei vecchi Nazareni, perciò: tre stelle, anche perché segna il congedo dal gruppo di Manuel Charlton. L’onesto guerriero della sei corde se ne va all’indomani di quest’album; fonderà la sua band senza combinare granché, appendendo a un certo punto lo strumento al chiodo e godendosi la pensione, fino a farsi ghermire dalla sua malattia mortale, giusto un anno fa. I suoi baffoni a’la Jon Lord e il suo pelo nerissimo da andaluso purosangue, così poco scozzesi rispetto ai suoi compagni d’avventura, hanno rallegrato e personalizzato in qualche modo le copertine e gli interni dei loro album. La terra ti sia lieve Manny, non eri un campione, ma un piccolo paragrafo nella lunga storia della chitarra rock è tuo, per quanto mi riguarda.

Carico i commenti...  con calma