Scritto veloce, rubato, per un album che va fruito spontaneamente come è stato composto. A questo punto probabilmente non si ascoltano neanche più tra loro, i musicisti: tali e tanti sono gli anni che le spazzolate, i soffi, le pennate si sommano con la pace e la naturalezza delle memorie muscolari. L'america ha cercato di rendere il country-rock un genere epico/rappresentativo della sua identità, come un loro folk (che però resta altro). A livello interno ci sono pure riusciti. All'esterno, a un europeo per dire, il genere suona quasi sempre almeno un po' finto, un po' facciata un po' vuota arroganza stellestrisce. Neil (canadese d'origine) ha per me sempre rappresentato l'eccezione che conferma la regola. La sua improbabile voce, la sua artistica precisa imperizia rockeggiante alla chitarra e la sua penna invidiabile le frecce all'arco di un bianco che attraversa le pianure con gli occhi svegli e gli stivali impolverati, per trasformarsi col tempo, la droga e i milioni in una specie di ricca burbera vecchia rockstar con la fissa dei motori. Vale a dire in una rockstar alla fine sincera perché cafona e contraddittoria, opposta a un Don Henley o a un qualsiasi coglione con le basette di Nashville. Coi suoi difetti, le sue fisse e le sue noie, aiutato da quegli scassatissimi macinini dei Crazy Horse, che hanno pure ripescato un antico membro per ringavagnare le sparute fila della formazione, con tutto questo, con le sue brutte stonature lasciate con noncuranza rock, Young il vecchio produce il suo miglior album da Psychedelic Pill, che è come andare da tuo nonno e sorbirti le solite storie, le tirate contro i vecchi politici, perché alla fine rabbonito e sfogato ti tramandi qualcosa di bello, come radersi con la lama e il pennello o i vigneti dove comprare il buon Raboso.
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