Neko Case. Fox Confessors Brings The Flood. Anti Records. 2006.

Un album di Alt-Country ed Alternative Pop/Rock. Un piccolo capolavoro.

Nata Neko Richelle Case, nel 1970, da genitori ucraini, ad Alexandria (Virginia), ha vissuto a Tacoma (Washington) e Vancouver, dove si è laureata in “Arte e Design” (nel 1994), per trasferirsi poi a Seattle.

Un background da Cow-Punk, la militanza nel gruppo/super gruppo New Pornographers (Indie Rock ispirato al Power Pop degli anni ottanta), per arrivare all' Alt-Country.

La voce prima di tutto.

Il suo registro vocale non ha confini, è sbalorditivo. Capace di potenza desueta, di evoluzioni funamboliche, di dolcezza idilliaca. Usa la voce come uno strumento. Incanta e fa accapponare la pelle. La sua libertà di spaziare è al di fuori della portata della maggior parte delle interpreti Pop contemporanee. É una chanteuse alla Nico, ma calda e passionale, non algida, ed altrettanto sofisticata. È una musa ammaliatrice alla Grace Slick, non ne condivide la medesima sensualità, ma la stessa bellezza altera. Le sue sfumature e le sue impennate conseguono grandi apici di espressionismo. Una Joni Mitchell con timbri più nitidi, molto più volubile. Più intrigante e pervicace di Jacqui McShee (dei Pentangle). Assidua ed incisiva come Natalie Merchant (10.000 Maniacs). Voce tattile e carezzevole, armoniosa, soave, ma non eterea, poderosa, ma senza asperità o indugi nella ruvidezza. Istintiva, confidenziale, intimista, intransigente. Può bastare così.

Sound: corposo, dinamico, essenziale.

È una arrangiatrice valida, compositrice che si distingue per immediatezza, cauta impulsività, melodie intriganti, mai scontate e convenzionali. Cantautrice e cantastorie di spessore, con testi improntati ad un lepido femminismo. Propugna un Alt-Country, lungo la ventennale carriera solista (dal 1997) sempre più ricco di soluzioni formali, variegato, spostandolo, via via, verso il Folk Rock e l’ Alternative Pop-Rock. Non c'è spazio per barocchismi, ridondanze, né cadute di stile. Non è mai prosaica. La passione per il Country la porta spesso a rileggere i classici (su tutte si ascolti la straordinaria “Wayfaring Stranger” nel live “The Tigers Have Spoken”).

Ospita, qui, musicisti, naturalmente vocati al Country, di tutto riguardo:

Howe Gleb (Giant Sand), Joey Burns e John Convertino (Calexico), Garth Hudson (polistrumentista della Band) e Kelly Hogan (cantante Indie Rock, Country e Jazz-Pop, della sua medesima indole). Questi musici disegnano, qui, paesaggi sonori pastorali e stellari.

I brani.

Ascoltate almeno “Star Witness”, ballata romantica, una “Song to the Siren”, più “Of The Siren”, idealmente “contro” Tim Buckley (ed Elizabeth Fraser). Passo di batteria ficcante. Paesaggio notturno. Chitarre e basso a tratteggiare una atmosfera moderatamente epica, con stilemi e lunghi accordi. L’armonia procede morbida. I contro cori declamano celestiali una fuga al chiaro di luna. Una voce blandisce il fuggiasco, l’amato o il viaggiatore. Le cose vanno come devono andare, senza patemi o acredini; ogni cosa è nel verso giusto, procede sulla strada per “andare verso” oppure “allontanarsi”. La strada è la stessa. Accogliente. Il finale è avvolto da un vento vacillante, lei riprende a cantare con dolcezza inequivocabile; privi di aporie, l’ abbraccio e la perdita stanno insieme. Indistinguibili. Una tastiera (infantile) conclude il pezzo, in forma di ninnananna soffice. Il cerchio si chiude, poetico, esile e lucido. Il vocabolario sfibrato di una notte estiva, dove una sirena fiera (“in honor and danger”) canta la realtà a cui appartiene, senza riflessi.

Ci sono, ancora, i singulti di violino di “Maybe Sparrow”, un’elegia; il teso Country-Western di “Hold On Hold On” (con Twang alla Morricone, ed il verso più elevato “The Most Tender Place In My Heart Is For Strangers”); “Margaret vs. Pauline”, sottofondo jazzato, poi Country Rock nebbioso; “At Last”, breve e concisa, delinea scenari alla Lynch (tra “Velluto Blu” e “Twin Peaks”); “Dirty Knife” sinistra nenia, poco rassicurante; “Fox Confessors Brings The Flood”, nottiluca e nottivaga. Tutti i brani hanno un grande afflato e qualcosa da raccontare. Dodici canzoni, trentacinque minuti in tutto!

Un album piacevolissimo; non si pavoneggia, né si schermisce. Più arrangiato, pulito e levigato dell’eccellente e selvatico predecessore “Blacklisted” del 2002. La voce della Case, seduttiva, cattura amabilmente, irretisce. In “Fox Confessors Brings The Flood” giace, in dormiveglia, un piccolo capolavoro. Nascosto.

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