Odio la moda... è solo uno stupido concetto di riciclo di clichè propinati a noi poveri fruitori fino alla nausea. Odio la moda anche perchè è riuscita ad insinuarsi in un mondo, quello della musica metal, che dovrebbe essere totalmente privo di una qualsiasi logica del genere, perchè si sa, noi brutti metallari non badiamo a queste cose: e pure sono anni che anche da noi sembra che la MODA del death metal melodico stia contaggiando un pò tutti, causando l'uscita di una valanga di bands uguali e piatte che riprendo a piene mani la tradizioni di gruppi "storici" per il genere quali Arch Enemy, Dark Tranquillity e con uno stile un po' differente Amon Amarth.

Sembra però che questo contagioso modo di fare musica non abbia colpito le terre canadesi rimaste più isolate da queste tendenze e capaci ancora oggi di tirare fuori band davvero eccezionali, qualche nome? Bhè i Quo Vadis, gli Excurses o i ben più famosi Cryptopsy; a questi si sono aggiunti nel 1994 i Neuraxis, combo nato da una costola dei Quo Vadis dedito ad un death metal tecnico e melodico che riesce ad essere eccezionalmente personale e scevro da influenze (plagi?) dei gruppi sovracitati, composta dai seguenti membri:

Rob Milley - chitarre
Will Seghers - chitarre
Yan Thiel - basso
Tommy McKinnon - batteria
Alex LeBlanc - voce

Preparatissimi tecnicamente, i nostri giovani canadesi fanno la loro comparsa sul mercato solo dopo tre anni con il full lenght "Imagery", un concentrato di potenza, malvagità mista ad un senso di selvaggio, il tutto capace di convivere con una costante ricerca melodica che, sensa far perdere ai pezzi la loro carica necessaria, riesce ad accattivare l'attenzione dell'ascoltatore in maniera davvero convincente. Le liriche sono quelle un po' comuni a gruppi avanzati, con un costante riferimento a temi quali la civilizzazione, la situazione odierna del mondo in cui viviamo, ma anche emozioni e spiritualità toccando in maniera fredda, quasi distaccata, un tema importante e delicato come quello della religione.
Formato da dodici pezzi, di cui due completamente strumentali, questo disco ci mostra da subito una band matura ed estremamente capace, che si trova a proprio agio sia nei momenti più rilassanti (sempre che di rilassante si possa parlare in questi casi), che altro non sono che brevi stacchi strumentali, sia negli attimi, presenti praticamente sempre, in cui il gruppo opta per assalti frontali a cavallo tra il più marcio death metal che può ricordare da vicino i colleghi Death del compianto Chuck Schuldiner dei primi tempi, e un progressive tinteggiato da un black metal caro alla tradizione norvegese, specie per quanto concerne le parti di batteria, con doppia cassa che giganteggia per quasi tutto il platter, piena di blast beat, ma dotata a dirla tutta di un suono un po' plastificato, e soprattutto per quanto riguarda l'impostazione vocale, maggiormente improntata su acidi screams piuttosto che sul growl decisamente più tipico nel death.

C'è poi la parte progressive come si diceva in precedenza, ma il termine progressive è da ricercarsi nella sua accezione più "becera", ossia come estremizzazione tecnica, specie nei solos di basso e chitarra, invece che continua ricerca di evoluzione musicale, dal momento che il platter si mantiene su coordinate più o meno simili, pur risultando assolutamente personale.
E' così dunque che si susseguono pezzi come "A Temporal Calamity", una delle poche che al suo interno riesce a trovare sprazzi di "allegra" melodia, assieme ad "Inquisition On Mortality"; a far da contraltare, per gli amanti della violenza musicale ci pensano episodi quali "Reasons Of Being", con i suoi acidi screams alternati a gutturali growls, appoggiati su una base musicale velocissima e tagliente, o ancora il black progressivo con venature death di "Driftwood", il pezzo forse più estremo dell'intero album.
Da citare poi risulta sicuramente essere la traccia di sola chitarra classica "A Drift...", che con i suoi 44 secondi ci mostra l'anima più delicata e raffinata di un gruppo assolutamente eclettico, capace, quando vuole, di risultare addirittura dolce.

In questo mare di perfezione sguazzano però anche canzoni di minore caratura, come ad esempio la piatta "Psycho Waves", che risulta troppo improntata sulla velocità, perdendo di vista il senso di composizione musicale e risultando così un'accozzaglia di suoni messi a caso.
Altro punto negativo risulta essere la produzione, troppo confusionaria e sporca, che alle volte risulta degna di un bootleg di serie b, alle volte sembra tanto perfetta da donare alla musica un senso di "plastificato" e poco reale. Peccati veniali comunque, peraltro risolti con i successivi lavori (consigliati come questo) e che non inficiano più di tanto sul risultato finale di un prodotto che pur non eccellendo in tutto, brilla specie se messo in confronto a quelle bands che preferiscono seguire quella brutta bestia che è la moda, che pur di risultare catchy e fighe e rinunciano ad essere genuine e vere.

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