Negli anni '80 il panorama musicale era piuttosto depresso. All’epoca imperava la new wave e le sonorità erano fredde e di plastica. Ma c’era chi andava coraggiosamente controcorrente come è il caso del movimento del Paisley Underground e della scena neo-psichedelica e garage-punk. Anche in Italia il fenomeno del revival e del recupero di certe atmosfere ebbe un certo fermento (seppur amplificato dalle riviste specializzate) con numerosi gruppi che si misero ad usare il Farfisa, il fuzz e a vestirsi come nei ‘60’. L’impressione è che la critica fece di ogni erba un fascio confondendo I gruppi che suonavano garage-punk (come gli ottimi Sick Rose) con quelli che facevano psichedelia. Fra questi c’erano i No Strange del guru psichedelico Salvatore d’Urso Ursus e Alberto Ezzu: il gruppo (inizialmente chiamato No Strani) in realtà aveva un background musicale eclettico che spaziava dal beat, alla psichedelia fino al krautrock (Amon Düül II) e a certo prog italiano meno convenzionale (Claudio Rocchi, Battiato e gli Aktuala). Decisamente una formazione sui generis e con radici profonde rispetto a chi magari si mise ad imbracciare una chitarra inseguendo la moda del momento.
Nel 1985 I No Strange se ne uscirono con il loro disco d’esordio No Strange (da qualcuno conosciuto anche come Trasparenze e suoni). Quel mitico e mitologico vinile conteva una lunga suite di quasi 20 minuti intitolata appunto “Trasparenze e suoni”. Ci vuole sicuramente della follia per uscire in quel periodo con una suite liquida e lisergica di lunga durata. Sembrava di ascoltare gli Ash Ra Tempel del primo disco: I No Strange in qualche modo avevano trovato la chiave per entrare nel tempio del dio Ash Ra! Musica meditativa fatta per lo spirito e per la mente figlia anche delle atmosfere espanse dei Pink Floyd di A Saucerful Of Secrets. Ma durante l’ascolto del disco traspariva anche l’amore per certa psichedelia italiana e per il beat (argomento di cui lo psichedelico Ursus è un’autorità). “Let Me Play The Sitar” in questo senso è quasi un manifesto estetico ed ideologico dei loro interessi che li portavano verso l’Oriente evocato da Hermann Hesse in Siddhart”. “The New World” rievoca i fiori e i colori degli anni ‘60. “Another Morning” è un frizzante brano garage-punk con il sitar protagonista che ben si inserisce nello “zeitgeist” dell’epoca immortalato dalla compilation Eighties Colours pubblicata dalla Electric Eye. “The Sound Is God” chiude questo enigmatico e surreale lavoro in maniera misticheggiante. La prima edizione aveva una copertina trasparente con disegno psichedelico mentre anche il vinile era trasparente.
Che Cthulhu ristampi questo disco visto che la Toast non ci vuole sentire!
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