Alla morte non ci si abituerà mai. Questi ultimi tre anni ne sono la dimostrazione. Tutti siamo stati trafitti dalla paura più universale che esiste. Ma cosa sarebbe la morte se non ci fosse la paura? Se esistesse una pillola che la eliminasse?
“Rumore Bianco” (White Noise), tratto dall’omonimo libro di Don De Lillo del 1985, è un film diretto da Noah Baumbach, uscito in cinema selezionati il 7 dicembre e disponibile su Netflix dal 30 dicembre, in cui si punta la lente su una famiglia borghese del midwest. Al centro della storia c’è un professore universitario, Jack Gladney, massimo esperto americano della figura di Hitler, interpretato da Adam Driver, e sua moglie, Babette Gladney, un’insegnate di ginnastica posturale che assume quella suddetta pillola, non presente in commercio e molto sospetta, interpretata da Greta Gerwig. Loro due si trascinano appresso la loro famiglia formata da quattro figli, tre dei quali da matrimoni precedenti.
La morte e la sua paura, vissuta nella nostra società, scandisce il ritmo del film, in cui il fattore determinante è un incidente ferroviario che scatena la fuoriuscita di una nube tossica. Da qui in poi la frenesia familiare, già percepibile da inizio film, si evolve in una confusione generale ai limiti del grottesco, tra ipotesi di complotto e un’intera cittadina in fuga in preda all’isteria, sulla scia di notizie precarie che arrivano dall’amministrazione, quasi disinformazione. E proprio quest’ultima è uno dei temi affrontati, e il capofamiglia lo ripete più volte: “la famiglia è la culla della disinformazione”. E qui non posso non vedere un parallelismo con la situazione pandemica che abbiamo vissuto negli ultimi anni, dove sembra che ognuno avesse informazioni diverse per mettersi al riparo e cavarsela. I cittadini fanno la stessa cosa, seguono le mutevoli informazioni per salvarsi la vita, perché basterebbe una sola esposizione di 10 secondi alla nube tossica per morire, ma di una morte che non si sa né quando né in quanto tempo sopraggiungerà.
Scappare dalla paura della morte sarebbe una grande cosa. Immagina di vivere senza questo peso, senza questo rumore bianco che fa da sottofondo alle nostre vite. Come vivere in un grande supermercato in cui ogni scaffale è abbondantemente rifornito e colorato e apparentemente non esiste limite alle cose che puoi comprare. Invece la vita è incerta e in questo film è il rovescio della medaglia, si cerca di sopravvivere come si può, affidandosi all’amore, alla famiglia, alla scienza, alle droghe o alla religione, a suore che fingono di credere, perché in fondo credere è un bisogno umano per arrivare alla salvezza finale, e magari a più di qualcuno serve.
Il film contiene molteplici temi, alcuni presi di petto, altri appena sfiorati e si vive un clima anni ’80, atipico, diverso dai revival che trasmettono serenità, la serenità di tempi andati e sepolti. Questo invece potrebbe essere tranquillamente ambientato ai giorni nostri e la sostanza non cambierebbe, perché le emozioni umane non sono cambiate e ci troviamo ad affrontare tutti le stesse battaglie, seppur con mezzi sempre diversi. In questo ci vengono in aiuto un’atmosfera cupa seppur non buia e le musiche di Danny Elfman, ad enfatizzare quel rumore bianco di fondo che pervade l’intero film.
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