Una storia, un milione di storie. Il nuovo film di Baumbach lo trovate in tutte le classifiche di fine anno, l'hanno visto tanti e ne hanno parlato altrettanti. Racconta la fine di un matrimonio, è una cosa che guardi se vuoi farti un po' del male. Ma in realtà, non proprio.

Sicuramente è la ribalta di una carriera, per un regista e sceneggiatore che alcuni amavano già da tempo. Ha scritto Fantastic Mr. Fox insieme a Wes Anderson, e diretto un capolavoro come Frances Ha, che resta probabilmente il suo migliore.

Può sembrare, ma non voglio dirvi che il film è sopravvalutato o fortunato. È molto bello, non si discute. Con attori del genere, in questo stato di forma, uno come Baumbach può solo raccogliere il grasso che cola. Oltre ai due protagonisti, che si offrono nudi, quasi come se recitassero se stessi, ho apprezzato molto una Laura Dern fantastica nei panni dell'avvocato strega e un Ray Liotta bello stagionato nella controparte maschile, ugualmente agguerrita. L'ho visto in lingua originale e tutto quanto ha proprio il suono di un trionfo.

Quando la cinepresa mette in fila i profili, in tribunale, sfruttando la profondità di campo, lì c'è proprio il Signor Cinema che ringrazia. Ma anche a letto, quando mamma Nicole, il piccolo Henry e papà Charlie stanno così vicini tutti insieme... per un'ultima volta. Sono tanti i dettagli che si fissano negli occhi: la distanza tra un divano e l'altro, che segna tra i due una frattura insanabile, ormai preventiva; le inquadrature per separare o unire, sfruttando allenianamente stanze e porte, che sottraggono a singhiozzo i personaggi. Il lungo primo piano su Scarlett quando risponde al questionario. Il cancello che li separa. Tanta roba già vista e quasi telefonata per chi lo conosce, ma che il cineasta sfrutta indubbiamente bene.

Voglio però dirvi un'altra cosa. Che probabilmente gli apprezzamenti così enfatici in questo caso hanno un motivo preciso, e c'entra con il modo che abbiamo di guardare i film. Marriage Story è una rappresentazione molto bella e curata, dettagliata, di ciò che ognuno di noi già sa o può immaginare facilmente, conosce per sentito dire, per esperienze vicine, per narrazioni diffuse.

Quindi un film splendido - nella forma e nella recitazione - su una vicenda quasi paradigmatica, che non individua tanto un caso particolare (anche se lo riempie di particolari, molti però sono usa e getta) ma piuttosto certe dinamiche complessive del fenomeno divorzio, ben consolidate e diffuse.

Non a caso uno degli argomenti principali riguarda la guerra che gli avvocati (in verità amici tra loro) scatenano per mero agonismo professionale, per tirarla in lungo e prendere la parcella più grassa possibile. Ma prima di scannarsi - sulla pelle dei loro clienti - si accordano per vedersi alla tal serata di beneficenza. La loro ipocrisia è scoperta, esibita.

Ma sono tanti gli argomenti “risaputi” che Baumbach espone qui, è tutto un “già visto” nel nostro immaginario. Ed è proprio per questo che il film conquista lo spettatore: la visione poggia su tanti concetti già posseduti da chi guarda, titilla e rinforza in qualche modo le nostre idee già ben formate su “come va a finire un divorzio”. Parte quindi da una posizione di vantaggio, e nel suo procedere è come se ci dicesse: “Vedi, gli avvocati sono sciacalli”, oppure “loro non vogliono farsi del male”, “guarda come si vogliono ancora bene”. È in fondo un accontentare dei pronostici generalisti e facili. Una copertina registica e attoriale di alta qualità per dire ciò che in fondo tutti sanno, tutti sperano.

Più che dolore, scatena un sentimento di pena, un senso di scempio dei sentimenti sull'altare del denaro. Più che affondare nelle emozioni, Baumbach affonda nelle parcelle degli avvocati, osserva la dignità di un sentimento finito sgretolarsi suo malgrado in una società che pesa in dollari ogni mezza frase tra coniugi, ogni mezza promessa tra innamorati.

La fine dell'amore è quasi il male minore. E infatti non se ne parla quasi.

Certe metafore visive, certi dialoghi iperbolici, certe dinamiche fisiche tra i personaggi sanno un po' di retorica da divorzio. Ma il miracolo (un po' paraculo) del film è proprio questo riuscire a stare in perfetto equilibrio sul crinale tra retorica e freschezza, tra prevedibilità e qualità della messa in scena.

Fa sentire profondi amanti del cinema anche quelli che non lo sono davvero, risparmiandogli in realtà qualsiasi sforzo conoscitivo. Ma è proprio così che si sfonda, Mr. Baumbach!

Carico i commenti...  con calma