Chiariamo un punto: essere un cantautore, possedere la capacità di incastonare testi accattivanti in melodie ben riuscite, non fa di te un musicista. O meglio, è chiaro che chi scriva una canzone stia “producendo musica”, come è ovvio che chiunque si trovi ad eseguire un concerto dal vivo, nel pieno della sua performance, sia un “musicista”. Per poter essere intrinsecamente musicisti, tuttavia, è necessario saper maneggiare con una certa perizia la materia musicale, avere una visione lucida delle sue dinamiche, delle sue mistiche strutture.
Noel Gallagher, con tutto il rispetto che portiamo per lui dai tempi degli Oasis, non è un musicista. È però un artista, che è stato in grado, tramite la sua personale concezione di musica, per quanto semplice e approssimativa, di trasmettere emozioni. Le canzoni di Noel sono sempre stato quanto di più basico potesse esistere in musica, ma se è vero che un importante parametro per poter misurare la grandezza di un'opera artistica è la sua ripercussione sui fruitori, sulla gente, allora non sbagliamo nel dire che quelle degli Oasis erano delle grandi canzoni: dirette come poche, comunicavano dritte al cuore delle persone senza chiedere permesso.
Dopo anni passati a comporre brani di questo tipo, con risultati sempre medio-buoni pure nella sua corrente parentesi solista, era anche comprensibile che Noel avesse perso l’ispirazione per la scrittura; non è comprensibile, però, e nemmeno accettabile, il fatto che abbia voluto sopperire a ciò con una produzione invadente, esagerata, diretta assieme ad un produttore poco affine al suo spirito compositivo (quel criminale di David Holmes). Grasso di espedienti di studio e magro di idee, Who Built The Moon? è un album confusionario, pomposo ed inconcludente. La purezza melodica di Noel è ora sovrastata da arrangiamenti massimali, alla maniera di quelle session band degli anni Ottanta, con tanto di ridondanti fiati e coretti soul: una direzione ardua da sostenere per le semplici e stavolta deboli trame melodiche provenienti dall’acustica di Noel, che finiscono col rimanerne soffocate.
Si salva ben poco: il blues dalle tinte esotiche di "Be Careful What You Wish For" ricorda alcuni dei più interessanti esperimenti degli Oasis (leggi: le orientaleggianti melodie di "Who Feels Love" e "(Get Off Your) High Horse Lady"), come suonano bene gli echi di Neil Young (altra grande fonte di saccheggio da sempre) in "Black & White Sunshine" e di Springsteen in "If Love Is The Law", che è anche il pezzo migliore. Ma se non ci fossimo appuntati le sensazioni provocateci da quest'ultime canzoni al momento dell'ascolto, ora non sapremmo riportarle: di quest'album non rimane niente, se non una cattiva impressione di aver avuto a che fare con il nulla cosmico rimepito di totale caos. Siamo sicuri che, seppellite sotto coperte e coperte di strumenti, le canzoni di Noel Gallagher per come le abbiamo amate esistano ancora, gonfie di arroganza e di passione. Stavolta, però, la reinvenzione del nostro ad arrangiatore, forse anche per colpa di un cattivo consigliere, non convince per niente. Annata da dimenticare per i Gallagher Bros.
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