Cantami, o Diva, dei peli d'Achille
che se tajava tutte le mattine co' un
rasoio vecchio e tutto rotto, e dar
dolore se pisciava sotto!
Co' la faccia piena de cerotti è
andato dal Re tutto furioso pe'
cchiede 'na giornata de riposo.
Ma a Agamennone, che c'aveva li
chacchi sua, je fregava assai dei
Mirmidoni...
"Achille!", dice, "ma li mortacci tua,
te voi leva' da mezzo li cojoni?"
La glossa glissa il lemma mollo al pari dello scolio scoglionante.
"Ermetica desueta di aedi, parlanti differenti, dove parole oscure restano tali nel preoccupante disuso di sacro del gruppo dei parlanti di riferimento che si adagiano al moderno attraverso il linguaggio corrente".
Il fantomatico cantore di Chio conferma l'oblìo cercato, la solitudine cosciente, l'auto esilio animico, il non abbandonare riti e usanze ormai invisibili abbandonandosi al logos psichico dell'archetipo perduto dove non c'è punizione essendo ormai "colui che non vede" assente capolavoro, rapsodo di se stesso. Costruire templi e meraviglie di gloria e aspettare millenni di decadenza dove il logorìo della coscienza occultata corrode gli altari fatiscenti erti dunque per arrivare ai veri trionfi, a ridosso delle rovine.
Il mausoleo del coraggio fisico dell'eroe va in frantumi di fronte alle catene dello schiavismo della volontà di potenza e noi, denudati dalla verità, inorridiamo al cospetto di scoprirsi radicati concubini coi nostri vizî, gelosi financo di noi stessi. Materializzare autodistruzione nell'avidità verso tutto è il risultato della sete di vendetta dove difendere l'onore, costi quel che costi, fa sprofondare tutti nella putrefazione.
Il riso inestinguibile dell'eco dell'infinito cadenza il sogno statico delle umane disgrazie. L'incudine galleggia nel trogolo di mercurio liquido. Adulazione, ira, crudeltà, spietatezza, creano la seduzione nell'invulnerabilità dalla noia del Paradiso. Ma le portate del banchetto, che si vorrebbe materialmente senza fine, sono avariate, dove l'ambrosia è un sogno devastante di allergie necrofile.
L'antropomorfo che affibbiamo a tutto quello che ci circonda è un incubo malato senza risveglio, come il corpo di Ettore, deturpato dal "Pelide". È a prova di osteoporosi la furia dell'astragalo dell'acheo biondo crinato.
Alfine la giustizia applicata alla carne umana è una necrosi dove l'amputazione del Divino arriva inevitabile. Aimé, ancora tutt'oggi, abbiamo stima delle nostre malefatte, la vergogna tarda ad arrivare. In culo t'entra, in testa no, porca Troia. Stuprata post mortem la bellezza dell'eternità, Pentesilea ne sa qualcosa. Poi c'è il Cuore, quanta strada.
PATROCLO! Corri Achille pievelóce, corri... Pederastia epica, l'amore è cieco, Omero "vedeva"...
"Nessuna ricompensa attende l'eroe nell'aldilà".
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