Migliaia sono stati i gruppi gothic rock o gothic metal nati dall'affermarsi di band come Paradise Lost, Tiamat, Theatre Of Tragedy, The Gathering e molte altre ancora. Pochi sono quelli che pur emulando gli stilemi dei "maestri" sono riusciti a tirare fuori qualcosa d'interessante. Anche gli Omit rientrano in quell'immenso calderone del gothic metal/doom, ma rispetto ad altri progetti musicali ha l'audacia di cercare qualche soluzione più personale.
Gli Omit nascono nella fredda Norvegia, precisamente ad Oslo nel 2009. Il combo è composto da quattro membri: il drummer Bert Nummelin, il chitarrista e bassista Tom Simonsen, l'altro chitarrista Kjetil Ottersen e infine la cantante Cecilie Langlie. Quello che propongono nel loro primo lavoro in studio, intitolato "Repose" e dato alla luce il primo settembre 2011 è un doom metal molto raffinato e teatrale, profondamente legato alla voce della singer. Il loro doom/gothic è "soft", molto giocato su chitarre acustiche e inserzioni atmosferiche invece che sulla potenza delle chitarre e del growl come i gruppi cardine hanno insegnato. Le loro sono composizioni lunghissime, infarcite di scenari decadenti ed oscuri, con testi naturalmente incentrati su tematiche romantiche/decadentiste.
Dal punto di vista prettamente formale quindi, "Repose" è un lavoro decisamente complesso, non tanto per le trovate musicali al suo interno quanto per il minutaggio: qualche minuto in meno avrebbe reso più "leggere" delle canzoni che in questo modo diventano quasi insostenibili. Probabilmente tutto serve a creare quell'aura di misticismo e afflizione che tanto permea lavori del genere, ma alla fine della fiera, il risultato è pesante e anche un po' pacchiano. C'è però notevole coraggio in quello che hanno fatto gli Omit, soprattutto nella raffinatezza stilistica con cui hanno composto i cinque brani (divisi in due cd). Quelli che più meritano attenzione sono nel primo "Fatigue" dove viene ulteriormente esaltata la vena romantica e dove si accendono anche sprazzi di pathos, e nel secondo la suite finale "Insolence", un diario della sofferenza e dei ricordi perduti.
Nel disco dei norvegesi si incontrano anche aperture folk, a tratti quasi ambient, ma ciò che lo rende "statico" e mieloso è l'indugiare troppo sul timbro vocale della Langlie, che per carità ci sa fare, ma alla lunga diventa monotona anch'essa. "Repose" non mette nulla di nuovo sotto il sole (grigio) se non qualche dose di coraggio compositivo. Comunque una band da tenere d'occhio.
Disc One
1. "Scars" (16:14)
2. "Fatigue" (14:29)
3. "Dissolve" (14:20)
Disc Two
1. "Constriction" (14:50)
2. "Insolence" (25:58)
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