"Happy New Year" degli Oneida è un disco deprimente ma nonostrante ciò è un disco splendido.
E' deprimente perché... beh, provate! Se dopo averlo ascoltato non vi sentiti tristi, senza speranza e umanamente provati e prostrati, che dire, forse è perché non lo avete ascoltato bene!
E' splendido perché è una sequenza di 11 (undici) canzoni tutte perfettamente composte, con un arrangiamento ispirato al rock classico, essenziale ma spesso e robusto e una struttura dei pezzi attenta, equilibrata e improntata alla forma della canzone - posso dirlo? - pop.
Dopo gli esordi rumorosi ma tutto sommato orecchiabili di "Enemy Hogs" e "Come on Everybody Let's Rock" i nostri avevano svoltato in "Each One Teach One" e "Secret Wars" verso uno stile improntato ad un'ossessiva ripetizione, una ripetizione un po' scevra di emozioni e sentimenti che definiremmo, quindi, un po' psicotica.
In "Happy New Year" le cose cambiano, perché i pezzi trasmettono una rinnovata umanità, segnata, tuttavia, da una profonda tristezza e malinconia. Quasi ad esorcizzare questo senso di smarrimento e di sventura molte canzoni, a cominciare dalla prima, "Distress", assomigliano a canti liturgici, litanie in cui le armonizzazioni di più voci leniscono e fanno dimenticare sofferenza e smarrimento. Il canto religioso sembra davvero una delle principali fonti di ispirazione di questo disco.
Fanno eccezione all'umore prevalente la terza traccia "Adversary", caratterizzata da un incedere vivace, ed in parte la successiva, "Up With People", dal ritmo beccheggiante, che sembra volerci guidare attraverso un mare minaccioso. Il testo recita
"Sunlight shines on the top of the trees
The highest hills bring the sweetest breeze
You've got to get up to get free
Open your eyes, the things you see
are determined by the height of the ground you seize
You've got to get up to get free"
come se partecipare alla loro profana liturgia fosse necessario per raggiungere una più libero stato dell'esistenza. Ma non è il caso di fidarsi.
Il disco si chiude con "The Misfit", forse la più bella canzone del disco, in cui una suadente linea di basso ci culla dolcemente verso la perdizione e "Thank your parents", caratterizzata da una marcia quasi funebre e il cui testo allude agli effetti nefasti di un viaggio psichedelico
"Dream another color
'Till you dream no more" .
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