Presentare eccessivamente i fratelli Hartnoll non serve. Partiti in quarta nel 1990 con "Chime" e mai mollato un attimo. Insieme agli Orb e al Madchester Sound hanno inaugurato orgogliosamente gli anni Novanta all'insegna della cultura rave. Una volta apprese le regole dei Kraftwerk, molti deejay si sono cimentati in cameretta su campionamenti e "machine drum". Il duo in questione realizza sublimi ambienti celiestiali, basta sentire il remix di "It's A Fine Day" di Opus III ("Halcyon"), ma anche successioni cibernetiche industriali come "Satan". "Belfast", con quei vocalizzi che faranno scuola nell'acid house, è l'altra hit che li consacra già nel 1991.
Dirompente esorido di "Green", grande continuo con "Orbital 2" e successo commerciale nel 1994 con "Snivilisation". Fino a questo momento non ci sono frivolezze del duo e il sound si dimostra compatto e linerare. I brani tracciano paesaggi lunari grazie ai suoni limpidi, celestiali ed eterei. Si arriva ad uno stato d'ipnosi senza la "filmografia" degli Orb, ma effettuando una trance anestetizzante. Si spingono aldilà dei generi e delle mode, sono molto di più della semplice techno. Sono un paesaggio surreale che scende in terra.
1996. Il quarto album giunge in un momento cruciale per la band. Meglio non fallire insomma, dopo nessun passo falso ancora. Il climax iniziale è da paura. "The Girl With The Sun In Her Head" è spettacolare, un basso penetrante con eccezionali arpeggi nell'aria. La narrazione sonora si propaga per oltre cinque minuti paralizzando la nostra mente. Si viene subito assuefatti da "In Sides", album di notevole livello suonato da due artisti massimi. Il duo ha raggiunto grande esperienza e maturità. Sono versatili e a passo con i tempi.
La metrica infernale di "P.E.T.R.O.L." smorza subito l'ultraterreno dell'incipit. Non c'è uno "stop" nella composizione e si giunge velocemente alla vetta del disco. "The Box". Capolavoro di brano e di video. Martellanti tintinii pianistici su uno stato di vulnerabile ansia. Si viene risucchiati dagli incastri dei suoni di questa sinfonia industriale. Nulla di più avanguardistico per il tempo e ottimo esempio di come non servono mille bastonate di drum'n'bass per far "muovere" la voce del suono. Si, perchè è inevitabile; si viene scossi totalmente dal fragore degli Orbital.
"Out There Somewhere" è l'ultima traccia del periodo d'oro, dopo di ciò abbiamo "The Middle Of Nowhewre" che riprende qualche velleità già mostrata in "Snivilisation" e un ammorbimento generale, sovrastato da campionamenti e "finzioni sonore" (la prolissa "Attached). La canzone citata pocanzi invece possiede ancora qualcosa da dire. Ci sono due parti e la prima è del tutto sovrastante. Le tonanti tastiere creano dissonanze e cupe atmosfere. Come sempre ci sono le variazioni del secondo tema e momenti rilassanti e riflessivi. Non ci sono sintassi giuste per gli Orb, forse orecchie però si.
Carico i commenti... con calma