Non c'è bisogno di essere Alfred Einstein per farsi una propria idea nel merito dei concetti di spazio e tempo. Non so molto di fisica, la scienza deputata allo studio della materia e a come questa occupi e si relazioni con i concetti di spazio e tempo, anzi, per quanto possa apparire strano, ho una formazione classica, quindi insomma non so molto di cose del tipo la teoria della relatività e concetti come la dilatazione del tempo, il relativismo della massa o l'equivalenza tra massa e energia anche nota come E = mc al quadrato.
Ad ogni modo, questi, quelli di spazio e tempo, sono concetti che non sono ovviamente di esclusiva competenza di fisici e scienziati, ma qualche cosa sulla quale ci si può e ci si deve interrogare anche se privi di qualsiasi nozione scientifica e semplicemente guardandosi attorno. Semplicemente facendo proprie delle considerazioni sulla vita che ci circonda.
D'altronde è evidente che tutti noi abbiamo sempre cercato, cerchiamo sempre di dare una definizione al tempo e anzi, ancora più che questo, cerchiamo di forzare questo concetto dentro degli schemi e di regolarlo secondo degli standard adattabili a noi stessi e le nostre esistenze. In questo senso, cerchiamo di possedere il tempo e di farlo nostro, ma questo è impossibile, perché il tempo è infinito e in questo senso questo collettivo di navigatori interstellari proveniente da Stoccolma, Svezia, ha sicuramente azzeccato l'interpretrazione e la decifrazione di questo concetto nel modo più cosmico possibile.
'In Time' è il titolo dell'ultimo disco degli Our Solar System. È uscito via Beyond Beyond Is Beyond Records lo scorso marzo e è un disco che sicuramente possiamo includere tra gli episodi più significativi per quello che riguarda la psichedelia cosmica e la space music di questo anno 2016. Influenzati dalla musica progressive e ovviamente dai maestri della musica kraut come Amon Duul II e i Can e allo stesso tempo da artisti della musica rock come Pink Floyd o Gram Parsons e del jazz come Alice Coltrane e il sempiterno Sun Ra, questo ampio collettivo di musicisti (che include tra gli altri anche Mattias Gustavsson dei Dungen) ha un approccio alla musica che in qualche modo ci ricollega a quella che è l'antica devozione dell'uomo agli astri che componevano l'arco celeste.
Influenzati quindi anche dalla astrologia, ognuno dei musicisti del collettivo rappresenta nella pratica un pianeta del nostro sistema solare (compresa la fascia di asteroidi e Plutone) e ascoltando la loro musica prendiamo quindi parte a una specie di rituale messianico, qualche cosa in cui l'astrologia e la scienza incontrino il culto di antiche e perdute divinità pagane. Siamo all'interno di uno Stonehenge immaginario che è solo dentro la nostra testa, mentre acoltiamo questa musica che supera ogni singolo frammento nel quale siamo soliti dividere e regolare il tempo. Ci sono solo due tracce all'interno di questo disco, due lunghe sessioni di musica cosmica mista a jazz sperimentale acido e nel quale risuonano disperati gli eco di anime possedute dalle divinità delle stelle in un mantra psichedelico che ha qualche connessione proprio per questo suo aspetto rituale a altri recenti episodi della musica neo-psichedelica di diverso tipo: penso a Goat, Amorphous Androgynous, The Polyphonic Spree.
Abbiamo solo due lunghe tracce. 'The Beginning of Time0 e 'At the Edge of Time'. Manca la fine, ma come potrebbe essere altrimenti, se siamo davanti a qualche cosa di cosmico e che è regolato dalle leggi universali della fisica e allo stesso tempo dal potere devastante di antiche divinità ancestrali. Manca la fine perché non c'è una fine. Semplicemente.
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