«Ma a te ti piacciono i Ramones???» e mi guarda fisso negli occhi.

Meglio non compromettermi, «Abbastanza …», dopo tutto io manco la conosco, questa, me la ritrovo davanti oggi per la prima volta nella mia vita, «Perché???».

«No, niente, è che adesso attacchiamo questa robba qua, sarebbe bello se la cantassi con noi».

«Dai, ci provo».

A dire il vero, non è andata proprio così, ma il senso più o meno lo rende.

Che in realtà lei è canadese, e pure le altre tre, e di italiano ne mastica poco, giusto i basilari ciao, grazie, amo l’Italia ed il minimo armamentario da rockeuse in trasferta.

Poi, io sono uno del pubblico, lei invece sta col microfono in mano e canta in un gruppo tutto al femminile e, quando canta e quando introduce i pezzi, non è che guarda qualcuno fisso negli occhi, ma volge lo sguardo un po’ su tutti quegli occhi che la fissano, tra sé e sé se qualcuno capisca quello che sta dicendo, «Magari li insulto pesantemente, se questi fanno yeahhhhh ed urletti di approvazione, vuol dire che proprio non capiscono niente; male che vada, attaccano ad insultarmi pure loro e degenera tutto in rissa, come un perfetto concerto punk».

Allora, lei e le altre tre canadesi ancora non lo so come si chiamino, però la banda sì, Pale Lips, labbra pallide; fino a ieri pomeriggio nemmeno sapevo chi fossero, oggi mi sono invaghito di loro in modo terrificante.

E lo ammetto, molto è proprio per questa storia che ci piacciono i Ramones, a loro e pure a me; e penso sia qualcosa del tipo «Amor ch'a nullo amato amar perdona …», e perciò non mi trattengo dal provare amore per chi ama i Ramones.

Comunque sia, attaccano questo pezzo e penso che sia una cover dei Ramones, perché se loro masticano poco italiano, io mastico ancor meno di anglosassone e dintorni.

«R.A.M.O.N.E.S.», ca##o, stanno coverizzando i Motorheadli!

Mi metto ad urlare «Bad boy rock, bad boy roll, gabba gabba, see them go», ma qualcosa non torna, perché “gabba gabba” mica l’ha cantato la tipa al microfono, e “gabba gabba” l’avrei capito pure io se l’avesse cantato.

«No dai, non è una cover» perché, per quanto possano essere incapaci queste quattro ragazze, «R.A.M.O.N.E.S.» dei Motorhead ed una qualsiasi canzone dei Ramones la riconoscerei sempre e comunque.

È robba loro, «R.A.M.O.N.E.S.! HEY! OH!, LET’S GO!» ed un brevissimo assolo tutto costruito sul riff di «Pinhead».

Non capisco nient’altro, di questo pezzo, e poco altro capisco di quanto continuano a suonare poi, ormai sono disteso a tappetino ai loro piedi.

Tra il poco che capisco è che sono tutte e quattro giovanissime, a vent’anni nemmeno ci arrivano.

Che suonano oggi pari pari come suonavano nel 1977 le mie adorate Corvettes: una miscela altamente infiammabile tra i gruppi vocali femminili degli anni Sessanta e certo garage rock, quello che si trova in raccolte scassatissime alla «Teenage Shutdown», mica «Nuggets» o «Pebbles», troppa evoluzione tra quei solchi.

Che non hanno la minima cognizione di tecnica musicale.

Che quello che stanno facendo loro lo potrebbe fare senza problemi ognuno di quelli che le sta a fissare.

Che il rock’n’roll è cosa per giovani ed andare a vedere concerti rock’n’roll sta pericolosamente diventando cosa per vecchi; forse perché quando uno è giovane il rock’n’roll lo fa e quando è vecchio non ha più tante forze per farlo e si limita a guardare chi lo fa.

E infatti loro quattro hanno una vitalità straripante e l’adorabile insensatezza dei ventenni, e pure simpatia da vendere, ché non sempre i ventenni son simpatici.

Ovvio che la prima cosa che mi viene da augurargli è che restino giovani per sempre e soprattutto non diventino mai le nuove Donnas, nel caso sarebbe meglio si sciogliessero al ritorno in Canada.

«Non abbiamo mai sudato così tanto ad un concerto».

Probabile che non abbiano mai suonato alle sei del pomeriggio di un caldo mese di fine giugno.

Avrebbero dovuto essere l’aperitivo per l’evento serale.

Per me sono state aperitivo, antipasto, primo, secondo e contorno, frutta, dolce, caffè, ammazza-caffè ed amaro, tutto offerto dalla casa.

E questa paginetta tutta per loro, la loro adolescenza ed il loro garage punk sbarazzino, per me è stato doveroso scriverla.

Ché poi quella canzone s’intitola «Mary-Lou Sniffin’ Glue», ecco.

Carico i commenti...  con calma