“È uno stato di calma apparente

è una forma di amore costante”

Da “Stato di calma apparente”

Esco, c’è un po’ di neve e fa freddo. Mi aggiro per il Tiergarten, in questo paesaggio squisitamente desolante e deserto. Sembra quasi un paesaggio post-apocalittico, con me ed il mio cellulare (e la musica) unici sopravvissuti.

Cosa ascolto? Inizio a scrollare e arrivo sull’iconcina di questo album di Paola Turci. “Ah, amo questo album, perché no?”. “Stato di calma apparente” è un album del 2004, che fa parte di quel decennio di cambiamento (2002-2012) che ha caratterizzato la carriera della Turci, portandola ad elevarsi e a fare uscire una manciata di album e raccolte che molto si discostano dalla prima parte della sua carriera.

Siamo di fronte a una manciata di brani del passato della bella cantautrice romana, suonati e cantati in presa diretta. Quando parte “Frontiera”, la opening track, si entra in un suono caldo, umano, un suono che, in questo periodo, mi sembra provenire da un’altra epoca. Ed in effetti era un’altra epoca; quindici anni, alla velocità con cui viaggiamo attualmente, rappresentano un giro del mondo a 360 gradi

Continuo ad ascoltare e mentre passo dalla nostalgica “L’uomo di ieri” (versione che rispetto a quella presentata a Sanremo è su un altro livello) a “Volo così”, mi rendo conto che tutti questi pezzi parlano di emozioni, del nostro essere umani. Questo album che per Paola Turci ha probabilmente significato l’inizio di un nuovo capitolo, a me sembra un ritorno al passato.

Il disco continua a girare, “Ti amerò lo stesso” è una perla piano e voce che bene si adegua ai paesaggi innevati e con un testo che oggi decido di autodedicarmi (“Ti aspetterò, ti prenderò come un sorriso // Fino a casa quando torni deluso // Sarai da curare // Ancora troppo tempo da passare // hai sprecato // Ritirati dalla tua strada che hai guidato // Ti guiderò io adesso // Io ti amerò lo stesso”) mentre “L’ombra del gigante” è un brano politico, ispirato da Sofri, che pure mi suona come una politica vecchia, passata, una cosa lontanissima dal canale della Sprea su cui mi trovo oggi, nel 2021.

Quando arrivo a “Questa parte di mondo” (uno dei pezzi più belli dell’intero repertorio di Paola, tratto dall’omonimo album del 2002), mi rendo definitivamente conto che la scelta di questo album non è stata così casuale come credevo. Avevo bisogno di calore umano, di chitarra e basso. Forse avevo bisogno di sentirmi coccolato, di ripensare ad un passato che tendiamo sempre a romanticizzare e ricordare con affetto spropositato, per convincerci che in fondo in qualche modo abbiamo ragione. Avevo bisogno di sentirmi vivo e questo album, in tutta la sua umanità ed il suo calore, ha il pregio di essere un album pieno di emozione e verità. Continuo a girovagare ancora un po’ per queste strade innevate di Berlino, godendomi la natura e questo mio stato di calma (apparente).

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