Allora: mettiamo ordine nell'attività "live" pubblicata dal nostro amatissimo avvocato astigiano.

Il primo documento è "Concerti", opera d'assoluta perfezione che chiude il "primo" Conte come un epitaffio perfetto del vero ed irripetibile periodo d'oro, accompagnato da una band eccezionale, sostanzialmente la medesima di Guccini (evidente marchio di fabbrica della "produzione Fantini").

Poi, a documentare un'opera sontuosa come "Aguaplano", due dischi: il "Live", singolo e un po' troppo "tastieroso", ma godibile, ed il simile, e forse migliore, prodotto dalla televisione svizzera.

Dopo, Paolo Conte cambierà band e produrrà "Tournee", "Tournee2" e "Live in Arena". Credo di non aver dimenticato nulla.

Una premessa va data: chi scrive ritiene fermamente, senza averne mai dubitato per un attimo, che un colpo di tosse di Paolo Conte sia infinitamente migliore del miglor sforzo compositivo di un Antonacci. Credo sia una premessa necessaria per capirci, anche nelle eventuali critiche, che son sempre affettuose ed infinitamente innamorate.

E allora partiamo da una critica: Bandini, Tavolazzi, Marangolo, Villotti. Questi i nomi della sua prima band live della notorietà.

Quelli che io definisco "i professorini" sono invece i membri delle band successive. O, meglio, di una band che è andata crescendo fino a diventare una vera e propria orchestra, probabilmente il suo sogno da sempre. Ho sempre pensato che quando Conte canta "ecco Duke Ellington, grande boxeur, tutto ventagli e silenzi", si tratti sostanzialmente dell'immaginazione, quasi grafica e fumettistica, del proprio sogno di capo-orchestra. Quello che alla fin fine ha realizzato.

Ma lo ha realizzato con le persone (parzialmente) sbagliate, andando a pescare nei conservatori quando modestamente avrei ritenuto migliore una pesca in locali fumosi blues-jazz della Bassa.

Il professorino da conservatorio è ontologicamente un secchione, uno dall'inversa proporzionalità tra tecnica e anima. Salvo, ovviamente, rare ed entusiasmanti eccezioni (anche Buscaglione era diplomato...).

Ma questa è davvero l'unica critica possibile per un concerto altrimenti perfetto. In tutto.

A iniziare dalla scaletta. Conte proveniva da un disco che altrove ho già definito "strano", come "Parole D'Amore Scritte A Macchina". Definizione che confermo: se oggettivamente è scritto meno bene e meno ispirato di quasi tutti i precedenti, lo è comunque più di quasi tutti i successivi, e, soprattutto, gode di un'atmosfera magica, surreale, onirica... appunto: "strana". Forse sarà la mancanza della batteria, l'uso della chitarra come unico strumento ritmico, le tastiere... chissà...

Comunque è da lì che si proveniva. Da un bel momento.

Poi le inedite: "Bye Music", perfetta, splendida. Irripetibile quanto poi irripetuta; "Reveries", talmente bella da meritare il titolo di un album/raccolta successivo. "Pittori Della Domenica" invece lancia indietro al miglior Conte, giovane e ispiratissimo. Colpo d'ala? Rimasuglio geniale di qualche geniale cassetto di un mobile perduto nelle nebbie astigiane?

Poi l'uso delle coriste a impreziosire oltremisura "Come Mi Vuoi?" ed a ripescare la favolosa "Pretend".

E la band di secchioncini che gira bene bene sotto l'occhio vigile del Capo che scudiscia ogni viltà.

L'unica cosa che davvero non ci si può aspettare è il drumming sintetico, profondo e vivo di Bandini o i voli pindarici del tenore di Marangolo (pare il primo a rompere con l'avvocato, tempo prima...).

Ma il resto che si può volere, desiderare, sognare dal miglior Conte "live" c'è davvero tutto.

E il concerto, anche sentito dopo troppi anni, emoziona. Molto.

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