Nothing. Niente. Niente di nuovo. Niente di nuovo qui, solo nostalgia. Tanta, tanta nostalgia.

Ho voluto iniziare questo scritto mutuando il titolo dal primo singolo estratto dall’ultima fatica di Paul Weller, per mettere subito in chiaro che l’opera nulla aggiunge e nulla toglie alla magnifica carriera del “modfather”.

Il diciassettesimo album solista di Paul - ventottesimo album in totale, compreso il suo lavoro con The Jam e The Style Council - intitolato “66” e uscito il giorno prima del suo 66esimo compleanno (25 maggio), è una summa delle atmosfere rock, soul bianco, R&B, britpop, sapori jazzy e persino psichedelia, profusi nei 26 album precedenti. Il tutto in 12 tracce per un totale di 42 minuti di ballad e arrangiamenti orchestrali come se piovesse, assoli di flauto disseminati qua e là e tanto mestiere.

C'è la sensazione che Weller si aggrappi a qualcosa di seducente e lo fa con autoindulgenza, conscio che 66 primavere, di cui 47 di onorata presenza nella scena musicale, siano sufficienti per rivolgere uno sguardo al passato.

Le cose sono chiare fin dall’avvio: a bordo di questa nave di sciocchi (“Ship Of Fools”), oltre al flauto ed al vibrafono, trovano posto quelle atmosfere tanto care a Ray Davies e che hanno fatto la fortuna dei Kinks.

Attenti però, nostalgia sì ma intesa quale percezione di un passato che restituisce senso al presente, una gioia che si tinge di tristezza, ma pur sempre gioia. E così, le percussioni disco e i sintetizzatori gorgoglianti di “Flying Fish” riconducono le ansie per il tempo che passa nella logica delle cose. Anche perché Paul non si sente vecchio. E come potrebbe colui che ha trascorso i primi anni della sua carriera urlando l'importanza della giovinezza. Ecco quindi che, ricordando i Jam, in “Jumble Queen” la voce si fa aggressiva e i fiati della Stone Foundation fanno il resto. Il testo – anche se di Noel Gallagher – riflette lo spirito dell’intero lavoro (Proprio come un proiettile/Ora sto volando libero/Vedo il futuro che mi guarda/E mentre piangi per quello che è stato/Canterò questa canzone alla Jumble Queen).

Grazie alla poliedricità della carriera, le canzoni scorrono via facilmente, alcune migliori, altre meno ma il livello resta sempre alto. Prendete “Nothing” - con un cantato che da Bowie arriva a Scott Walker e con quel sapore crooner oggi ancora più profondo nella voce meravigliosamente corrotta dal tempo - a me ha ricordato Hirayama, il protagonista di “Perfect Days” di Wenders, anche per il testo (Camminando indietro tra gli alberi d'argento/La leggera brezza serale estiva sul mio viso) e, mi piace pensare che il simpatico giapponese potrebbe aggiungerla alla sua collezione musicale.

Ma per il sottoscritto la vera botta di nostalgia arriva con la quinta e sesta traccia, quelle che più ricordano il periodo con Mick Talbot. Tra i 15 e i 17 anni innamorarsi è facile: bastano due belle tette attaccate ad una ragazza che, sembra, ti stia ad ascoltare. In questo caso erano di S. e, sul finire dell’estate, mangiavamo paella lungo le rive del Brenta. Lei porta la radio, io la cassetta acquistata a Padova: “Our Favourite Shop”, confido nei flauti, negli archi, nelle chitarrine romantiche. Come al solito, due di picche: S. ha una testa più bella delle tette e tira fuori dalla custodia la copertina con i testi e cominciamo a parlare di problemi sociali, di Thatcher e…, ecchecazzo!

Nostalgia, ognuno penso possa tornare con la mente al passato ascoltando una o l’altra traccia, tanto è ampia la tavolozza, ma i colori rendono sempre scene malinconiche. Anche “I Woke Up”, seppur tra le meno riuscite (insieme a “A Glimpse Of You” e “Sleepy Hollow”) ha un suo perché: la mia mente va a quei film francesi anni ‘60 in bianco e nero in un momento di nostalgia onirica più che vissuta.

Nostalgia, ascoltando “In Full Flight”, sembra di essere all’Atlantic nel … 66! Chiaramente è il mio preferito perché è il cioccolatino indispensabile per ogni buon nostalgico: parte come un classicone soul con accenni addirittura gospel ma poi, sciogliendosi lentamente in bocca, ti rivela la micropunta psychsoul in un liquido assolo di chitarra: sublime!

Con uno scarto notevole “Soul Wandering”, il brano dalle sonorità più attuali, serve solo per marcare il concetto che il nostro ha attraversato tutta l’epopea Brit pop e che sa padroneggiare lo stile sempre con credibilità.

Ma non si poteva chiudere così, e quindi con “Burn Out” si torna alla fine dei ‘60, a quando la musica psichedelica decideva di gettare le braccia al collo alla forma canzone partorendo deliziosi camei dei quali il presente, sia chiaro, è solo una copia. Ma una bella copia.

Tracklist

A1 Ship Of Fools

A2 Flying Fish

A3 Jumble Queen

A4 Nothing

A5 My Best Friend's Coat

A6 Rise Up Singing

B1 I Woke Up

B2 A Glimpse Of You

B3 Sleepy Hollow

B4 In Full Flight

B5 Soul Wandering

B6 Burn Out

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