Strano.
Strano.
Strano.
Che altro aggettivo potrebbe meglio definire “Spheres”, l’ennesima fatica dei Pestilence? Ah, sì, eccolo, non è nemmeno troppo difficile, elaborato o chissacchè: MERAVIGLIOSO.

Eh sì, come potrete aver già capito siamo di fronte ad un disco d’enorme caratura, magnifico, complesso, incredibile nelle sue mille sfaccettature che sorprendono ascolto dopo ascolto.
I Pestilence (se non li conoscete, vergognatevi, ve lo dico col cuore… anzi no, ve lo dico e basta, che sennò per farmi torto mi mettete tutti uno alla recensione uaz uaz) sono una di quelle formazioni prog-death d’inizio anni Novanta (gran bei tempi, rimpiangerò sempre di non aver avuto la fortuna di vivere a Miami o Tampa in quei giorni) che hanno saputo creare un nuovo genere, indicato anche come “death-jazz”, capace di, attraverso l’innovazione, la melodia, l’inventiva e la tecnica sovrumana, privare il metal estremo (che ai tempi era ancora fermo a band come Morbid Angel, Sepultura, Slayer e chi ne ha più ne metta) dei pregiudizi dei benpensanti che a quei tempi lo vedevano e giudicavano come “Genere per gente con turbe mentali, puzzolenti, ubriaconi e satanisti”.

Bene, ora diciamoci la verità: ma i Pestilence hanno mai sbagliato un colpo? Una carriera invidiabile, fatta d’istruzione e cultura, elementi tutti trasposti nel loro metal che insieme a quello dei “colleghi” Atheist, Cynic e Death veniva unanimemente definito dai metallari come “metallo pe(N)sante”, uniti ad un gusto musicale fuori dal comune e ad una capacità tecnica nient’altro che invidiabile. Una band che, senza rinnegare mai il passato, è riuscita a scrivere le leggi sulle quali si sarebbe basata la musica del futuro (infatti, cazzoni numetallari di merda, mai dare ascolto a questa gente, eh?), andando però incontro ad una rovinosa, prematura e tutt’altro che meritata fine.

Vi lamenterete ora, mi direte: ”Ok, bravo propagandista, ma a noi non ce ne frega di questi, parlaci del disco”, e io vi rispondo: del disco non c’è nulla da dire. Un autentico caposaldo del metal in generale. Dirò solo che i quattro geni hanno dato vita in questo “Spheres” ad undici sublimi Tracks (con la T maiuscola) destinate ad entrare prepotentemente nelle zucche dei metallari più colti e raffinati.
Il cantante/chitarrista Patrick Mameli (Mameli?!) offre una prestazione eccelsa, dilettandosi con uno screaming al vetriolo e facendo gara di tecnica con l’altro chitarrista, Patrick Ulerwijk, che ci offre inserti fusion da infarto.
Ma è certamente la sezione ritmica a stupire: un batterista, Marco Foddis, che crea muri di suono impenetrabili ma, quando serve, dolci scampanellii di piatti che rendono l’atmosfera ancora più ipnotica, e un bassista (bassista?!Meglio definirlo come “bass machine”), Jeroen Thesseling, di formazione indubbiamente jazz che con questo cd si conferma come uno dei migliori bassisti metal del tempo (seguito a brave distanza da un certo Tony Choy e da un altro tipino di nome Sean Malone): Steve Digiorgio può tranquillamente andarsene a nanna.

Ragazzi, non so cosa dirvi, ma mi stanno giungendo in testa altri aggettivi per il disco.
Formidabile.
Grintoso.
Ipnotico.

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