«Amoreggio sempre colla morte».
Per cui, un po’ mi preoccupai quando Peter sparì dalla faccia della terra.
Quel rapporto di amorosi sensi Peter lo coltivava con siringhe e lacci emostatici, poco a che vedere coi fidanzatini di Peynet.
«Mi ucciderà ma non me importa niente».
Era tossicodipendenza ad uno stadio quasi terminale.
«Non ho paura delle tue minacce, non mi piego e ti sbeffeggio».
Ai suoi tempi – che significa quando lui era giovane e, in un certo qual senso, pure bello – essere tossico era un lavoro rispettabile.
Quanto meno, Peter non provava alcun senso di rigetto per il suo stato.
Piuttosto, si considerava – e alcuni lo consideravano – un maledetto, un ribelle con una causa per morire.
Quasi un eroe romantico.
«Giochi sempre per vincere ma non mi servirà riabilitazione».
Peter si sbagliava.
Però, mise tutto nero su bianco.
Poi, quel nero su bianco, divenne solo nero, come il vinile su cui fu incisa «Another Girl, Another Planet».
Pochi mesi dopo, Peter sparì dalla faccia della terra.
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Col senno di poi, qualcuno quella confessione di Peter la bollò come il più grande singolo mai registrato, probabile che sia così.
E andò a finire che una compagnia telefonica, di quelle famose per davvero, si impuntò per sfruttare il più grande singolo mai registrato (probabile che sia così) per una campagna pubblicitaria.
È allora che Peter riapparve.
Farfugliò qualcosa sul fatto che «Another Girl, Another Planet» avesse poco o niente da spartire con la tossicodipendenza.
Che ai tempi era dipendente dal sesso, più che dalla droga.
Che la sua musa fu una ragazza iugoslava, moderatamente fuori di testa.
A dire il vero, Peter non stava granché meglio e la dipinse come un’eroina, una cadetta di fanteria venuta dallo spazio.
Così alla fine ammise di essersi sbagliato, a proposito della faccenda della riabilitazione.
Essere tossico, dopo trent’anni e a una certa età, era disgustoso e Peter si vergognava come un cane a esserlo, di quei tempi.
Tremava al solo pensiero che qualcuno potesse paragonarlo a Pete Doherty, sue testuali parole.
Per cui, andò in riabilitazione e sparì dalla faccia della terra una seconda volta.
Un po’ mi preoccupai.
Ma dopo qualche tempo smisi di farlo e Peter finì in qualche recondito ripostiglio della memoria.
Lui che era l’autore del più grande singolo mai registrato, probabile che sia così.
E non gli garantì trenta secondi di celebrità neppure una compagnia telefonica, di quelle famose per davvero, che sfruttò il più grande singolo mai registrato (probabile che sia così) per una campagna pubblicitaria.
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Prima o poi, chi non muore si rivede.
Magari accade per caso, in modo del tutto inatteso.
Però accade sempre, prima o poi, appunto.
È così che Peter, poco fa, riappare una seconda volta.
Una cosa da lasciare senza parabole pure Nostro Signore.
Ora ha sessantacinque anni e rughe profondissime a scavargli il volto.
Però quella storia d’amore colla cadetta iugoslava se l’è lasciata alle spalle, acqua passata.
È tornato a suonare rock’n’roll ed ha fatto un disco, tutto suo.
Senza più i compagni dei tempi andati, ma assieme ai figli Jamie e Peter jr.
Questo disco è «How The West Was Won».
Che sia bellissimo lo si capisce da subito, l’omonimo «How The West Was Won», riff alla «Sweet Jane» e slide a tracciare le traiettorie degli Only Ones, mai dimenticate.
«Come tutti, sono innamorato di Kim Kardashian … In altri tempi, avrei passato i giorni a guardarla, senza mai desiderare di guardarla di fronte … Lo sa solo Dio quanto adoro gli Stati Uniti … ».
Tra gli squarci di melodia in «An Epic Story», la pacificata «Take Me Home» e il contrapposto tormento nella splendida «Living In My Head», i rumorosi slanci di «Something In My Brain».
«Non sono ancora morto, per ora … Il rock’n’roll è tornato a possedermi».
Ed è una gran cosa, la seconda resurrezione di Peter.
Una cosa da lasciare senza parabole pure Nostro Signore.
Uno che di apparizioni, resurrezioni e rock’n’roll se ne intende.
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