Un giorno qualsiasi, per un motivo qualunque, ti verrà rivelata la banalità della tua esistenza e ne sentirai l'intero peso.
La nuova vita che sceglierai, non v'è scampo, sarà la negazione di tutto ciò che eri.
E' così che va.
Baratterai il calore della famiglia con la fredda vita raminga. Distruggerai una villetta con giardino trasformandola in una pigra discarica. Farai il tiro al bersaglio da una piccola auto sportiva in corsa, sparando alle bottiglie sul camion della coca-cola, simbolo del capitalismo, per oscurare il vuoto che ti sei scavato dentro e negarne la tua responsabilità. Modi per sentirsi vivi.
Hai un Io, lo taglierai in due per avere ciò che è e ciò che è il suo opposto, ma non sarà più possibile riunire le parti. E' un modo come un altro di morire.
Quello che credevi di controllare ti controlla. Ciò che ami sfugge come sabbia fra le dita. E non hai alcun potere.
E' stato un bel gioco ma era anche il gioco di un altro, illudendoti fosse solo tuo.
Ti sei divertito, però, nel ruolo di dio.
Hai vinto, perdendo.
Qualcosa resta dentro al guscio vuoto, dentro la tua pelle senza più identità.
L'essenziale è lì, come il battito del cuore, prezioso come il respiro.
Lo guardi ma non lo vedi.
Lo vedi ma non lo riconosci.
Lo riconosci ma non lo ricordi.
Nascondilo con sorriso inconsapevole, non puoi gioirne né soffrirne.
Hai perso, vincendo.
Ora attendi e fissa nel nulla il tuo vittorioso sguardo morto.
Una foglia ti si poserà sull'occhio immobile e sarà tutto ciò che vedrai. Per l'eternità.
Post scriptum
Il romanzo nasce in una fase complessa della vita dell'autore. Non se la passa troppo bene, infatti. Mai molta fortuna nella sua vita, in verità. Ma in questo momento particolare sembra mancare un vero affetto quindi tanta, troppa, solitudine che traspare nell'opera.
Si dice in certi casi, di solito, “è solo una crisi, un momento, passerà...”
Robert Arctor è un poliziotto, un qualunque “perbene”: bella casa, moglie e figlie piccoline, svolge mansioni da ufficio e non ha proprio di che lamentarsi.
Un giorno, per un motivo scatenante qualunque, Robert prende consapevolezza di stare attraversando una crisi, si rende contro di odiare quanto ha e desiderare un'esistenza totalmente differente, un'altra realtà.
E noi siamo proiettati in questa nuova realtà, fin dalla prima pagina del romanzo.
E' bene sapere che per un “perbene”, ovvero il cittadino medio americano del romanzo, la vita totalmente differente, la nuova realtà, si traduce (sembra) in vita da “tossicodipendente”.
Bob quindi, sappiamo, ha abbandonato la propria famiglia ma mantenuto il proprio lavoro e, coerentemente con le sue scelte, è diventato infiltrato in un gruppo di tossicodipendenti: il suo compito è scoprire chi produce (e come) la misteriosa sostanza M.
Gli effetti di questa droga sono gravissimi. Non è possibile controllarne il consumo in quanto la dipendenza diventa subito molto forte, fin dalla prima assunzione, e la necessità di aumentare gradualmente le dosi impellente quanto inesorabile.
La sostanza M produce inoltre un danno organico nel cervello di chi ne fa uso. La personalità e le risposte sensoriali collegate al cervello vengono compromesse fino all'effettiva scissione, in due parti distinte, dello stesso. Il risultato sono due “menti” contrastanti che vorranno dominare o sostituirsi nelle funzioni deputate alla parte percepita come mancante, portando all'effetto finale di quello che potremmo definire un cortocircuito, cioè la dissoluzione dell'IO.
Alla fine dei “giochi” la persona diventerà simile a un automa, o a un vegetale (così come, con spregio, vengono definiti nella storia) senza alcuna volontà, spinta vitale o consapevolezza, alcuni prima di arrivare a questo livello la faranno finita. Da cui il nome M come morte.
Le persone che subiscono questo danno, di tipo permanente, vengono portate in alcune comunità di recupero appositamente predisposte dal governo. I metodi di gestione di questi luoghi sono sconosciuti a tutti quelli che non sono dentro le comunità stesse, tanto da alimentare delle leggende metropolitane tra i consumatori abituali della sostanza. I casi più gravi, le vittime di questa sostanza, ovviamente saranno ospiti (o detenuti) di queste comunità di recupero, a tempo indeterminato, nascosti all'intera società della quale comunque, per ovvie ragioni, loro non saprebbero più che farsene. Come accadrebbe in un ipotetico aldilà.
Robert Arctor, paradossalmente e simbolicamente, racchiude in se già un esistenza doppia e mentalmente difficile da gestire:
- Fred rappresenta la sua versione socialmente accettabile, cioè quando è un poliziotto in uniforme, totalmente disindividuato cioè reso irriconoscibile da una tuta super tecnologica (forse uno dei pochi elementi davvero fantascientifici della narrazione, almeno per i nostri standard contemporanei) che modica fattezze e voce di chi la indossa, snaturando totalmente la persona.
- Bob rappresenta la sua versione socialmente inaccettabile, quando è fuori dalla centrale, nella sua versione in borghese, (nb. la sua vita è fatta quindi di solo lavoro), praticamente per la maggior parte della suo tempo, quando mostra il suo vero aspetto.
Come in qualunque storia di infiltrati, cito ad esempio Nikolai ne La promessa dell'Assassino di D. Cronenberg, anche Bob Arctor diventa indistinguibile dai criminali che vuole “combattere” e subisce le stesse ossessioni, devastazioni, soprusi, allontanamento dei colleghi, amicizie e amori... di un qualunque altro tossico, condividendone tragicamente l'esistenza.
Lo sviluppo della storia prenderà il via nell'unico momento in cui Bob e Fred agiranno come una unità: Fred parla come Bob e Bob parla come Fred.
Una società che pretende - da tutti, indistintamente - la doppiezza della maschera di facciata non può avere, però, che conseguenze tragiche. Ciò che siamo sul posto di lavoro o in qualunque contesto pubblico non tiene conto del nostro io più vero e profondo, dei nostri drammi soggettivi e oggettivi, disinviduandoci totalmente e con volontà di farlo, prevaricandoci. Arctor diviene in questo senso l'emblema.
E la sostanza M, combattuta come una causa di disagio, si rivela quale effetto di un problema ben più grave. Nel romanzo è solo suggerito e messo in bocca al protagonista come un delirio o la ribellione di un momento, tanto da spingerlo a riflessioni molto gravi sul proprio operato ma poi, metaforicamente, viene delineata chiaramente la realtà dei fatti e si scopre che, in fondo, aveva ragione lui...
Per questo la sostanza M è, per me, la metafora della tragedia che è la vita nella stessa misura in cui questo non è un romanzo sulla droga, almeno non in senso esclusivo. Attualissimo e con un forte pessimismo aggiungo un sarcastico “immortale”.
La narrazione alterna momenti tragicomici, flashback, divagazioni, deliri, citazioni colte, misteri da svelare e... colpi di scena che rendono un quadro finale terribile della storia ma con qualche flebile speranza, molto in fondo.
Per chi fosse interessato a leggere il romanzo e non abbia visto il film... bè, non vedetelo.
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