Una mia amica ha una parete piena zeppa di vinili e ogni volta che la guardo mi chiedo come sia stato possibile, concentrare lì, tutto ciò di cui mi sbarazzerei nel giro di un secondo.
All'ennesimo best of di Brahms, la compilation delle arie d'opera e le marce militari, mi si palesa la cesta dell'autogrill, dove Tutto Mozart, in cofanetto, lo trovi accatastato sopra Nord Sud Ovest Est degli 883.
Ogni volta scartabello 'sta parete, sperando di trovare un guizzo, un album curioso, con tutto il rispetto per Vivaldi e tutti i grandi che, messi così, mi rimandano a “I colossi della musica” di Borotalco, quando Verdone straparla di “Sciostàcovic e Debbùssi”.
Ecco, 'sta parete io la vedo come se, al posto degli album, ci fossero le enciclopedie Curcio del cucito.
“Vuole comprare a rate il meglio della musica classica?”. Un girone dantesco.
Sarà per questo che quando ho trovato “Qui dove tu ci chiami” di Pierangelo Sequeri, ho intuìto almeno un briciolo di narrativa.
Pierangelo Sequeri è un sacerdote, teologo, esteta, a capo di un sacco di cose, nonché anche autore di saggi dai titoli apparentemente interessanti, soprattutto quelli su Mozart che leggerei con viva curiosità. Ricordo che il giovane Wolfgang fosse un massone mazdeista. Probabilmente, nel tempo, è stato sdoganato dalla sua non proprio palesata stima per il cristianesimo al netto di Zarathushtra e, dunque, puntualmente eseguito nella casa di Cristo, per drammatizzare lo scambio di fedi di Ilaria e Tony.
Sequeri è l'autore di una celebre hit: “Credo in te Signore, nato da Maria, figlio eterno e santo, buono come noi morto per amore, vivo in mezzo a noi”. Che poi è la canzone che Guzzanti obbliga a cantare allo stagista schiavo in Boris, dopo la conversione avvenuta grazie all'incontro con Gesù sulla Roma - L'Aquila.
Qui dove tu ci chiami è un progetto che vede i natali in quel di Rho: un grigio fabbrichificio sullo sfondo marroncino-arancionato degli anni Settanta, dove giovani speranze, rischiavano di farsi inghiottire dal demone del potere operaio e farsi rapire dal tiranno comunista e senzaiddìo.
Altro che Palestrina, fiamminghi e complicati contrappunti di non facile digestione e comprensione. Il ditkat del Concilio Vaticano II era quello di snellire la prosopopea, salvare i giovani dall'incubo del peace&love.
Prima la Messa Beat, con gli Angel & The Brain, poi, sempre peggio: Dio della mia lode, i canti del Rinnovamento nello Spirito Santo con gli arranger delle tastierine. Nel frattempo lo spettro del comunismo, dell'anarchia e del libero pensiero (e altre cose altrettanto importanti ma messe insieme come una sorta di accozzaglia), continuava ad alleggiare: gli anni Settanta, il piombo, Radio Alice, Ustica e Papa Luciani.
Giuro, a volte penso che pur di non farci diventare comunisti, hanno fatto tanti di quei casini che, alla fine, il male minore sarebbe stato precipitare in un burrone a bordo di una Lada, mentre l'autoradio girava in loop una cassetta dei Kino.
Tra il trash-garage delle Messe Beat e l'invasamento popolinaro dei canti del Rinnovamento, l'estetica di Sequeri si trova nel mezzo, scevra da arrangiamenti rock e lontana da quell'estetica della chiesa invasata dove gli Angeli accompagnano Maria in terra per lasciare messaggi random di guarigioni e meraviglie.
Buffo, no? L'Italia, uno sfornatuttto di prestigiose composizioni sacre, ridotta così, mentre l'Est Europa contemporanea sfornava Arvo Pärt. Nel 1974, anno di pubblicazione di questo lavoro di Sequeri, Krzystof Penderecki pubblicava Il risveglio di Giacobbe.
L'album di Sequeri è composto da un coro di regazzini ripuliti dallo sporco rosso, accompagnati da un organo sgraziato e fuori tempo.
L'album è trascinato da una celebre hit, “Ti ringrazio mio Signore”.
Interessante anche l'indicazione del Maestro Sequeri sul retro dell'album, che sottolinea l'intento di creare una struttura compositiva elementare di facile esecuzione, lasciando ai direttori la libertà di riempire a piacimento gli arrangiamenti. Ogni brano è puntellato da accenni di prevedibile dissonanza che in una trasposizione orchestrale potrebbero essere drammatizzati con ottimi risultati. Ovviamente, è tutto un salto di quinte e tritoni amici, come una sorta di Zecchino D'oro mandato in onda dopo una guerra nucleare che ha lasciato in vita soltanto un gruppo di ragazzini miracolati da Dio, un organista senza un braccio e un organo con 26 tasti. Forse le opere di Penderecki, per alcuni, fanno paura. Non hanno mai ascoltato questo disco. Non conoscono la paura.
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