Pink Floyd – The Early Years 1967-1972. Cre/ation. 2016.

1.) Early (and Ever).

I Pink Floyd degli “Early Years”, sono già quello che erano, che sono e che saranno. Pink Anderson e Floyd Council. Cioè la somma di più parti. In un tutto organico. Macchè solo la fantasia sfrenata di Barrett. Macchè solo Waters. Macchè Gilmour (in quest’ultimo caso, anzi, mi vengono in mente due parole, di rimando alla copertina di “Atom Heart Mother” e al valido “Fictitious Sports”, due parole da pronunciare in rapida successione: “Vacca” e “Gare”). Poi ci sono Wright e Mason. C’erano anche loro! Anche il maestrino che allestiva i loro primissimi e innovativi Light Show, era con loro. Non perché tutto fa brodo. Ma/perché erano un collettivo, un gruppo di amici, una band, studenti di arte e architettura a Cambridge. Quella condivisione di passioni ed intenti è la scaturigine di tutto. Quella prossimità, quella “vicinanza” porta lontano. Prendiamo un exemplum. “Il pifferaio alle porte (della percezione) dell’alba”. Barrett è il deus-ex-machina. E allora? Qualcuno guidava il Van nero, che li portava ai concerti, certamente dare il volante a Syd non era il caso. Comunque sia, se Barrett scrive tutti i testi, solo lo “Stetoscopio” è di Waters (l’altro Roger), e, ovviamente, le musiche, il supporto che viene dagli altri è importante. Implementa alla grande. Implementa. Barrett inventa “Interstellar Overdrive”; gli effetti di registrazione, di studio, sono una sua trovata geniale. Le quattro dimensioni del tutt’uno spazio-tempo. O giù di lì. Ma si tratta di una jam con gli altri tre. La sezione ritmica è determinante. Così, plenaria, è “Pow R. Toc H.”, uno scherzo, un’inezia? Ma ci sta tanto bene in quell’LP. Prendiamo, ora, “Ummagumma 2”, quello da studio. Ognuno dei “nuovi” quattro compone una suite individualmente. Tutti, con esiti diversi, sono in grado di comporre. E il disco dal vivo, poi, attesta quanto fossero, a differenza di Syd, quello superstite o fantasma del ’68, in grado di suonare.

Allora, comunque (e sempre) sia, siamo difronte ad un gruppo. Non solo alla “ragione sociale”, che le battaglie legali, manterranno inalterata, ai danni del potenziale appeal di una fantomatica “Gilmour’s Girls”.

2.) 500 Euro.

Va subito chiarito. Commento il doppio CD, che fa da compendio al totemico Box da una trentina di CD (più il DVD di “Live At Pompei”), il cui costo si aggira sui 500 € ed il cui acquisto, lo dico da amante serio ed appassionato della band, è immorale. Che ne dici Conte @[IlConte]? Io non ci sto. Neanche Pinhead @[ Pinhead] comprerebbe una siffatta “Early Years”, nemmeno se fosse dei Ramones. Forse sì. Probabilmente no. Il doppio CD, 18 €, può certamente bastare. Raccoglie missaggi inediti, live session dell’epoca e registrazioni per “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni. Più alcuni singoli, i primi due (“Arnold” ed “Emily”), anche il piacevole “Point Me At The Sky” e qualche B Side…

3.) Cavalca la tigre (contro tigre).

Allora, si diceva, i Pink sono la somma delle parti. Nelle varie sfumature. “Saucerful of Secrets”, l’ LP, trova l’espediente dell’ultimo autografo barrettiano, il vaudeville amaramente mesto (ma splendido) di “Jugband Blues”, per accomiatarsi dal giovane leader divenuto inaffidabile ed ingombrante, e catatonico. Lasciarlo per proseguire un discorso musicale, iniziato col misticismo, ma che vuole andare avanti, in una sorta di empirismo dialettico, nel “fare musica”. E musica Rock. Questo gruppo, ha di veramente bello, che affronta l’album, il formato del Long Playing, come uno scrittore il proprio libro, come un pittore il proprio quadro o un intero ciclo. Una produzione artistica. Poietica. Un’opera d’arte. La sua genesi. La germinazione. La crescita, anche in consapevolezza. Loro han (quasi) sempre saputo rinnovarsi, anzi, evolvere (evolvere? Sempre? A ciascuno la personale risposta). Per anni, sono stato assiduo nel credere che il progressive fosse il migliorarsi, il costante progredire, il superarsi da un album all’altro. Un suono evolutivo, ricco, raffinato. Ma come nella teoria della specie, ci sono dei salti di qualità inspiegabili, così qui, e ci sono anche ricadute, rinculi, sacche. Ma il suono incede. Un sound che ti perfora l’anima, che percorre, anche attraverso la resa tecnica, tutto il potenziale dell’udito umano. Le “buone vibrazioni” non sono andare in fibrillazione. Loro fan quadri sonori, enormi. Siderali. O affreschi. O onde. Grandissime. Un’aura sacrale avvolge, ammanta le loro opere, fino alla senilità di Gilmour esclusa. Il leader che apprezzo di meno, il compositore più abile nella nobile arte del riciclo. La guida, per me, è Roger W.. I “cazzi suoi”, le sue paranoie, le ho sempre condivise volentieri. Per superarle hegelianamente: toglierle, conservando. I mattoni nel muro ce li ho messi anch’io, poi, abbattere il muro, liberarsi, è un progetto, non solo un’esperienza tra altre. Serve volontà. E’ avviare un processo, non nel senso di “The Trial”, “Worm, your Honor”, blah, blah. È qualcosa di universale. La liberazione da ogni schiavitù è un esodo. Certo, i Floyds, in gran parte, mi hanno rovinato l’adolescenza, altrettanto, o non meno, di quanto abbia fatto il primo amore respinto in terza media, da una certa S.Z., sia mai… Anche se sono passati trent’anni, in un certo senso, non mi sono mai ripreso. Dai Floyds, invece, sì. E con i Floyds, non contro i Floyds.

4). History

Nel 1967, i “Fluido Rosa” divengono il paradigma e la matrice della psichedelia inglese (stravagante, eccentrica e fuorimoda) . Hanno interiorizzato le jam velvettiane, l’informalità dei Red Crayola (da cui traggono “Paintbox/ Scatola di Colori”, no scherzo), il melodismo dei Jefferson, prolungandone le appendici. E, in più, c’è Syd, al secolo Roger Keith Barrett. Che dà nome, identità alla band, e sonorità aspre, ritmi, rumori astratti, filastrocche surreali e sovraccarichi di lontananze. Questi estrae dal cilindro di uno spazio alieno il coniglio flautato. Con tanto di “Astronomy Domine” ed “Interstellar Overdrive”, le più limpide allucinazioni del Rock della Swinging London.

Poi, dalla vena sperimentale dalla psichedelia distorta barrettiana si passerà ad un maestoso Art Rock, sempre di avanguardia, prammatico, lanciato verso la luna, il cosmo, e gli spazi siderali che li varcano. Senza rinunciare anche a un linguaggio diretto. Così, nei primi tempi, il ’68 offre un “Saucerful” meno “altrove” e più concreto, capace di un grande impatto emotivo, tra lentezze ed impeti vertiginosi. “More” consegna melodie crepuscolari e curiosi rintocchi atonali. Le “Ummagummae”, libertarie, ambiziose, estreme, promulgano una musica cosmica dai confini indefinibili. L’LP della mucca riflessiva dello studio grafico Hipgnosis segna una nuova via, con un sound ampolloso, epico e ridondante. In “Meddle” melodia e sperimentazione si controbilanciano, l’ipnosi e le turbative oniriche sono le credenziali di un Pop Rock sempre più metafisico. Dopo l’interludio caduco di “Obscured” verranno gli album epocali e solenni, fino all’ onesto primo solo di Gilmour “A Momentary Lapse Of Reason”. E il resto è mancia.

5.) Canzoni a raccolta: 1969-1972. Nella Swinging London e oltre la psichedelia.

Alcuni episodi salenti, della “piccola”, doppia raccolta datata 11 novembre 2016, della durata complessiva di 1:52:41. “Matilda Mother”, in un diverso lodevole mix, con testo sfalsato, è un “classico” della psichedelia barrettiana, intrigante e tortuoso, invita la madre di Mati a seguitare a raccontare storie di re con occhi d’argento e cavalieri nebbiosi, “Devi solo leggere le righe scritte in nero/ ed ogni cosa risplenderà”. “Jugband Blues” è l’epitaffio di Syd “Non mi importa se non splende il sole/ Non mi importa se niente è mio/ Non mi importa se con te sono nervoso/ Faremo l’amore d’inverno./ E il mare non è verde/ E io amo la regina/ E cos’è esattamente un sogno?/ E cos’è esattamente uno scherzo?”, del resto, l’incipit, cui opportunamente torniamo diceva “È tremendamente cortese da parte vostra pensarmi qui/ E vi sono molto grato per aver chiarito che non ci sono”. C’è la Single Version di “Careful With That Axe, Eugene” con grida lancinanti (ma presto smorzate), e una sua BBC live Session del ’69, senza urla belluine. Sempre bella da sentire. Ancestrale. Trasognante. Minacciosa. “Interstellar Overdrive”, registrata dal vivo ad Amsterdam, in veste meno dura dell’originale, senza che la musica tonale deflagri nell’improvvisazione più caotica e frastornante. 4 minuti e 20 secondi, senza l’intensità unica degli strumenti convulsivi che conosciamo. Lenta, straniante. La chitarra onirica di Gilmour rimpiazza il titanismo di Barrett. Di interesse documentaristico. C’è l’acquerello pastorale di “Grantchester Meadows” con un piano titillante nel finale. Incantevole “Cymbaline”, organo e batteria in gran spolvero; Gilmour si esprime al meglio in questi canti. “Green Is The Colour” eccede sulle onde del mare e sul grido dei gabbiani, laddove si parla più concretamente degli spruzzi d’acqua dolce del martin pescatore. La sua bellezza, melodia semplice e consistenza bucolica, sfuma in una orientaleggiante “Careful”, deprivata, come già detto, dalle grida laceranti. Il mare dell’essere dove è dolce naufragare? O l’alienazione, l’oblio? Propenderei per la prima ipotesi.

L’audio è sempre in altissima fedeltà. C’è grande interesse per “In the Beechwoods”, grossomodo inedita, uno strumentale stranamente solare di Barrett, con cadenze altalenanti, vagamente Country. Genere che primeggia, accanto all’ascendente Folk, nei brevi “esercizi di stile” per la colonna sonora di “Zabriskie Point”. Sono episodi curiosi e piacevoli, non son propriamente quello che siamo abituati ad ascoltare dei Pink. In qualche modo rappresentano il lato più attraente di questo compendio. La suite di “Atom Heart Mother”, live in Montreux, 1970, senza orchestra, è roboante e guadagna in ferinità. Curiosi gli effetti echo di “Nothing Part 14”, work in progress deviante, distorsivo e sincopato di “Echoes”. Si sente la mancanza di qualcosa come “Set The Controls For The Heart Of The Sun” o “One Of Thease Days”, che sarebbero potute tranquillamente andare a danno di qualche “Embrione” di troppo. Un sogno averci inserito “A Pillow Of Winds”, magari nel finale. Finale che è, invece, affidato a tre pezzi tratti da “Oscured By Clouds”, l’immediato predecessore dell’oscurità permanente della luna. Hanno un impatto quasi comico. Almeno lo smielato romanticismo di “Stay”. Però il testo di “Childood’s End”, tutta ad appannaggio di Gilmour, non è niente male.

[…]

Hai detto, navigate per mare
Lontano da pensieri e ricordi
La giovinezza è finita, le tue fantasie
Si mescolano all'aspra realtà;
E quando la vela è alzata
Sentirai gli occhi riempirsi di lacrime
E tutte le paure mai espresse
T'imporranno la scelta finale

Chi sei tu e chi sono io
Per dire che sappiamo perchè
C’è chi nasce nascce, c’è chi muore
Sotto l’infinità del cielo
Ci sarà guerra e ci sarà pace
Ma tutto finirà un giorno
Tutto il ferro cambierà in ruggine
Tutti i superbi finiranno in polvere.
Così il tempo aggiusterà tutte le cose
Così questa canzone finirà.

Che avesse ripassato l’Ecclesiaste al 3, 1-15? O si era sciroppato “Turn Turn Turn” dei mitici Byrds? Sta di fatto che molte infanzie sono così finite.

Cari Pink Floyd, per il buon “Vecchio Grasso Sole che brucia in Cielo”, io per quanto vi ami profondamente, ho anche cercato di odiarvi in passato, ma neanche Clash e Ramones vi hanno seppellito, io, dicevo, 500 € non ve li sgancio. Per quello che riguarda la freschissima pubblicazione in sezioni di questo colosso, da tre o cinque CD, divisi per data e luogo, intorno ai 34, 40 €, ci penserò. Mi informo, ma sono molto scettico.

Goodbye Blu Sky.

Goodbye Cruel World (of Business).

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