A tre anni di distanza dal precedente "Meds", tornano sulla scena i Placebo, e lo fanno con un lavoro dal titolo "Battle For The Sun".

Dopo aver sofferto le fatiche del tour promozionale per "Meds", Steve Hewitt, batterista dal 1996, ha deciso di abbandonare il gruppo. Al suo posto, Molko e Olsdal hanno chiamato Steve Forrest, precedentemente batterista del gruppo Evaline.

Ebbene, sarà per il cambio di front-line o per il nuovo look di Brian Molko (dal rasato di "Meds" si torna ai capelli lisci e lunghi stile primi anni del gruppo), ma il sound di questo disco si discosta molto da quello dei precedenti lavori, e la cosa difficilmente va intesa come un complimento.

Neutralmente lo si può descrivere come un lavoro Alternative Rock in perfetto stile, ma ascoltando anche solo il primo singolo "For What It's Worth" si può udire che manca qualcosa, quel qualcosa che aveva fatto dei Placebo quello che sono oggi. Ed è un qualcosa formato da più componenti.

Prima di tutto quel misto di rock ed elettronica, che qui non si presenta: come già spiegato, si tratta di un perfetto lavoro alternative rock, ma di elettronica proprio non c'è traccia. Addio a quelle tracce come "The Bitter End", che emozionavano al primo ascolto. 

In secondo luogo manca la creatività: "Battle For The Sun" è alla fin fine una raccolta di brani che difficilmente si distinguono l'uno dall'altro: non ne trovi uno in particolare che ti resti dentro: sono tutti belli, stilisticamente perfetti, ma freddi e, alla fine, monotoni. Già, perchè una volta può essere il primo ascolto, un'altra l'umore nero, l'altra ancora la stanchezza: ma quando senti un album sette volte di fila e non ricordi nemmeno un brano (se non il singolo che le radio lanciano tutti i giorni puntualmente), allora purtroppo di monotonia si deve parlare. 

Ok, manca l'elettronica... e allora? In molti pensano che l'elettronica sia la rovina della musica! Bhe, "Special Needs" non aveva proprio nulla di elettronico. Zero assoluto. Solo un giro di basso elettrico, il ritmo della batteria e la voce di Brian Molko. Bene, qui manca anche questo. Non ci sono nemmeno quelle ballate oscure (per citarne un'altra, Protect Me From What I Want, meglio nota come "Protege-Moi"; o ancora Pure Morning, forse il loro pezzo più famoso) che nei precedenti album dei Placebo si alternavano all'elegante Electro-Rock.

Parliamo della ricerca musicale dei Placebo. Meds sotto quest'aspetto era l'album migliore, ricercato nei minimi dettagli, dall'eleganza dei reef di basso di "Infra-Red", all'accattivante sound della title-track. Qui il brano che più porta i segni di una ricerca è Kitty Litter, pezzo di apertura del disco, forse persino definibile come il brano migliore di tutto il lavoro. 

In due parole possiamo localizzare il sound di quest'album a metà tra quello di "Placebo" (album d'esordio) e "Black Marlett Music" (terzo lavoro della band), prendendo di ambedue le parti peggiori.

Molko ha dichiarato che la band ha realizzato un album più "ottimista", che parla di come la vita va vissuta: col senno di poi, preferivo quando Brian era triste, in veri capolavori come "Song To Say Goodbye"; meglio le inquietanti copertine come quella di Meds piuttosto che quella splendente immagine di eclissi solare che compare in copertina di questo disco, ma che non si associa ad un'altrettanta splendente musica. Forse Hewitt, più che essersi sfinito con il tour di "Meds", aveva capito che qualcosa in Molko stava cambiando. E in peggio... Questa è ovviamente una battuta, ma efficace per far capire come qui si abbia a che fare con una vera e propria involuzione di un gruppo divenuto famoso per avere uno stile, definito dalla voce di Molko e dal sound inconfondibile. Se non fosse per la prima delle due qualità, quest'album potrebbe benissimo essere confuso per un lavoro di una qualsiasi band Alternative (Camel, Franz Ferdinand, Artic Monkeys: grandi nomi, ma che con i Placebo non c'entrano nulla).

In conclusione: da questo lavoro si avince una mancanza di idee, di originalità, di ricerca e innovazione, caratteristiche tipiche dei precedenti album (quasi tutti capolavori, se si vuole escludere il primo) dei Placebo. Speriamo che la causa sia veramente la fatica del tour che ha portato all'abbandono di Steve Hewitt e che la band torni presto con un lavoro degno del suo nome.

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