“Translucence” è, da un capo all’altro, un piccolo gioco di dissidenza dal potente e abrasivo punk-rock di “Germs Free Adolescents”: meravigliosi entrambi, questo, quanto quello, eppure distanti e formalmente opposti. Qui, increduli, ci inoltriamo tra suoni lounge carezzevoli, ma non languidi, fumosi, ma non scuri, eterei, ma consistenti. Ci spingiamo tra brani traboccanti di arrangiamenti jazz e melodie pop per flauto e chitarra, sostenute da percussioni esili ed assidue (tabla, sonagli, batteria) e contrappunti d’organo o sassofono. Qui fluttua ed emerge l’elemento fondamentale dell’album, ovvero il canto ammaliante e desueto di Marianne Joan Elliott-Said, alias Poly Styrene. La voce distesa, come veli di brezze mattutine tra corolle al loro dischiusi, sognante senza voluttà, chiara, ricolma di innocente grazia e generoso affetto. L’album, interamente autografo, registrato nel 1980, si mostra così, interamente cantato in sordina, senza sussulti, eppure racchiuso in un unico sussulto delicato, vibrante e continuo. Affabile.
Dov’è allora la Poly tanto amata nel debutto del quintetto punk settanta settino degli X-Ray? L’adorabile ragazzina somalo-londinese che urlava “C’è gente che pensa che le ragazze vadano soltanto guardate e non ascoltate…”? L’improbabile eroina del Punk femmista, antagonista sbarazzina ed impacciata dell’onnipotente società dei consumi?
E’ ancora qui. E’ sempre qui. In queste ballate plastiche ed armoniose, dall’esotismo pop-rock sui-generis, idilliaco, colmo di flauti, vaporoso e leggero; lounge, non cocktail-lounge; pop, non easy-listening. Nel “post-punk” più atipico dell'epoca. In viaggio con lo spirito e con la terra, in qualche modo “free”, immateriale ma palpabile, mai grossolana, mai scontata. Volta ora a superare il confine tra realtà e immaginario, nella pace interiore forse. E trasporta con sé e guida, lasciando più sopraffatti dall’emozione che persuasi dalla ragione. Verità piena di phatos, ethos pieno di verità acerba ed adulta: pace e gioia sorgive, colte nella loro origine. Null’altro.
Tra gli episodi felicissimi: “Dreaming”, trasfigurazione di “Bondage”, sognante, melliflua, incantevole tra colori diafani, “Day That Time Forgot”, ondivaga, cordiale, che meravigliosamente recita il verso “He demand your complete attention”, “Translucent”, che incede risoluta con il piano a titillarne una melodia infantile, ma tenace e lirica. E ancora il canto da novella sirena per odissee oniriche e naif, di “Bicycle Song” , zigzag ameno modulato con organetto, “Sky Diver”, fulgida, e “Shades”, eterea e soave.
Splendido, inevitabile, un album ingiustamente, colpevolmente ignorato. Coartato nell’oblio. Un tesoro nascosto!
Io sono l’Angelo della realtà,
intravisto un istante sulla soglia.
… in me racchiudo l’essere e il conoscere.
Sono uno come voi, e ciò che sono e so
per me come per voi è la stessa cosa.
(L’Angelo Necessario, Wallace Stevens)
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