Ya!. Chi ha dimestichezza con il napoletano non faticherà a comprendere il titolo della terza prova solista di Raiz, pubblicata nel 2011 per la Universal. “Ya”, come afferma lo stesso artista, è un’abbreviazione del termine “jamm” e si può considerare “un’esortazione dinamica e diplomatica nello stesso tempo”, equivalente all’italiano ”e dai”, all’inglese “come on” e all’arabo “yalla”. Il suo significato è evidente: da un lato spinge al cambiamento e alla positività, dall’altro al compromesso, aspetto caro al cantante partenopeo, per il quale “ogni controversia non può che risolversi col dialogo, con la mutua comprensione”.

Queste caratteristiche sono presenti nel disco, che si distingue per uno stacco netto dai precedenti W.O.P. e Uno. Se i primi due lavori di Raiz sono in bilico tra una riproposizione un po’ sterile del sound degli Almamegretta e alcune scelte stilistiche non particolarmente azzeccate (la scrittura in italiano, piuttosto acerba in W.O.P.), Ya! corregge decisamente il tiro, affidando la parte produttiva ai Planet Funk. Il risultato è un album che suona fresco e immediato fin dal primo ascolto e che, al tempo stesso, punta a quel compromesso di cui parlavamo poco fa, tentando di conciliare (in maniera riuscita) suggestioni mediterranee e sonorità elettroniche. La propensione al dialogo si traduce anche in voglia di viaggiare e conoscere, e questo porta Raiz a confrontarsi con diverse realtà linguistiche, spaziando dal napoletano all’inglese, fino a giungere all’italiano e alla lingua ebraica.

I brani in cui questo eclettismo è più visibile segnano il raggiungimento di una piena maturità artistica: il singolo “Domani, Domani, Domani” è un invito a cogliere l’attimo e a divenire artefici del proprio destino, perché, come ricorda il nostro: “’A vita è ‘nu mumento/Ca tu te hai ‘a sapé piglià/Pecché si passa/Nun ‘o può cchiù acchiappà”; la title-track evoca la progressive house dei Leftfield e suggerisce di evitare quei conflitti che portano solo al dolore e alla sofferenza (Do you really want to live in sufferation anymore?/Do you really want to make war at each other anymore?”); Yalda Sheli” esprime il tormento di un soldato pronto a partire per il fronte e a separarsi dalla donna amata, il tutto accompagnato dall’eccellente produzione dei Planet Funk, capace di fondere abilmente elettronica e atmosfere arabe. Il disco si avvale anche della collaborazione dei baresi Radicanto, che con le loro voci e sonorità etniche impreziosiscono alcune delle tracce migliori (le romantiche “’A Rosa (‘E Int’O Ciardino Mio) e “Rinasco Più In Là”, davvero suggestive). Non mancano canzoni più pop, come l’iniziale “Full Of Love”, in cui Raiz racconta come la musica lo abbia aiutato a superare un momento difficile (“I keep on dancing to the beat/Of dreams I always will/They can save you when/ You feel so down and sick”). E brilla di una luce particolare la cover di “One Blood” di Junior Reid, con il suo incedere coinvolgente e i suoi bassi pulsanti, un pezzo che sottolinea la “lezione” già espressa in “Figli Di Annibale”: non esiste bianco o nero, perché nelle nostre vene scorre lo stesso sangue. Chiude il lavoro “Nu Filo D’Erba E ‘O Mare”, poesia di Salvatore Palomba trasformata in magico spoken word, un brano dal sapore trip-hop che ci insegna a scorgere la luce nel buio e a trovare la forza per ricominciare.

Nonostante l’esigua lunghezza (dieci tracce per poco più di trentacinque minuti di musica), “Ya!” resta la migliore prova solista di Raiz, che riesce a realizzare un lavoro semplice ma non privo di profondità, capace di dar voce a una modernità complessa, fatta di nomadismo, incontri, conflitti e migrazioni.

E non è un’impresa da poco.

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