Può un cartone fare un culo a capanna a David Cronenberg? Questo non lo so, ma certamente non comprerò mai più la marmellata di marroni. Soldi mal spesi.
No, non si tratta di un cartone con armi fatte di carne umana, o VHS che entrano nello stomaco per poi essere vomitate dagli occhi. Mi è venuto in mente Cronenberg solo per quel suo mezzo film, Map of the Stars, o Map to the Stars, o Maps to the Star (non cerco su google perché il mouse wireless è lontano e non mi ricordo cosa devo premere dopo alt per aprire una nuova scheda), con la sua mezza critica ad Hollywood e la sua mezza storia mal scritta, e la mezza malinconia e tutte quelle cose a metà che quando finiscono pensi "m
BoJack Horseman è ambientata in una Hollywood zooantropologica, dove umani e animani (che non sono "mani con buchi di culo", ma un neologismo nato dalla fusione tra "animali" e "umani") convivono, ed è una storia come tante per lo star-system holliwoodiano: un attore cavalluomo (Bojack, appunto) protagonista di una sit-com che nei primi anni novanta ha spopolato in America, inizia il suo declino artistico dopo la fine della serie.
Nonostante l'immensa fiducia che sto, da un po' di tempo a questa parte, riponendo nelle produzioni di Netflix, stavolta mi sono imbattuto in questa serie semplicemente spulciando le biografie dei protagonisti di Breaking Bed, scoprendo che Aaron Paul (Jessie o Jesse) prestava la voce a Todd, coinquilino-parassita di Bojack. Il risultato è che finalmente non c'è bisogno di attingere cinisatiricamente dalla "famiglia americana" per creare una serie, e che non c'è il minimo bisogno di Cronenberg per capire quanto Hollywood sia una merda, e che un cavallo che si droga pesante e vomita lo zucchero filato può dare grandi soddisfazioni.
Vado a iniziare la seconda stagione sperando che mi si stappi la narice destra. Ma tanto appena si stappa, poi si attappa quella sinistra. Che vitaccia
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