There is no light at the end of it all….
There is no light at beginning”
(Rema Rema “Fond affections”)
Comincerei dal concetto di ballata disturbata.
“E che concetto è?” -mi chiederete voi- “una ballata è sempre disturbata”.
Oh si, avete ragione, una ballata è sempre disturbata. E, sia che il suo substrato sia intimo, amoroso o sociale, il movente è sempre uno solo: la mancanza.
(Poi, ok, ho già scritto la parola “sempre” tre volte e la cosa mi sta un pochetto sulle palle, per cui fatemi un piacere, rileggete il tutto e aggiungete qualche “forse” dove più vi aggrada)…
Dove eravamo arrivati? Ah si, alla mancanza.
...e essendo la mancanza il senso stesso dell’esistere (e questo ve lo dico senza citare tutte le teste d’uovo che lo sostengono) ci vien facile capire la capacità che ha il folk di spaccare i cuori e le anime... e di spaccarli veramente, cazzo...
Poi certo l’aiuta, al folk, di appoggiarsi sicuro alla forma più adatta al suo oggetto, ovvero (dicono gli esperti) una serie di note ambigue tra il maggiore e il minore, dette note blu o note azzurre.
E la forma non è una scemenza...la forma (le forme) son le fondamenta della casa.
Ma non è del disturbo dell’anima che volevo parlarvi. O, perlomeno, non solo di quello.
Quel di cui volevo parlarvi è il disturbo sonico. Cosa niente affatto strana, visto che l’epoca da cui previene il reperto in questione è quella piuttosto avventurosa del post punk.
Immaginate una ballata, con la sua classica bella melodia, ma immaginate di sentirla in una sorta di allucinante fabbrica laboratorio, con un martello che batte un ritmo monotono ed elementare e un sinistro vortice di suono che sbuffa come un soffio di vento tossico e cattivo.
Aggiungete poi riverbero e feedback quanto basta oltre a spizzichi di rumoristica sparsa.
Insomma l’eternità della mancanza nel mortaio ( o nel crogiuolo fate voi) del più malsano post punk.
Solo che poi l’eternità della mancanza è sempre quella. Ed è proprio qui che sta il bello.
Poi potete pure fare il confronto, se volete. Che nel primo This Mortal Coil (mirabile progetto dei primi ottanta che rileggeva tantissimi bei nomi dimenticati) trovate, ripulita come si conviene, una coverina anche di questa “Fond affections”. E’ bella, bellissima. Ma è, appunto, un’altra cosa.
Comunque il dischello qui proposto ( il primo o uno dei primi pubblicati dalla mitica 4AD) consta di quattro brani, due incisi in studio, due dal vivo. (“Fond affections è dal vivo).
L’atmosfera è quella straordinaria del periodo, le influenze (le più radicali possibili) pure.
E l’altro capolavoro, oltre “Fond affections”, è “Rema Rema”, feroce sarabanda sonora con tamburi alla Maureen Tucker e qualcosa che rimanda ai Fall e a certo Kraut.
La sensazione é quella di ballare sulle macerie. E anche di feroce e disperata ironia...
E quella stranissima ragione sociale, Rema Rema? Boh…
C’è un racconto di Julio Cortazar, di cui a dire il vero ho solo un vago ricordo, in cui una bambina racconta la sua vita in una strana casetta dove una tigre ferocissima gira tranquillamente per le stanze.
In quella casa vive anche Rema, una ragazza buona e dolce che la bambina spesso invoca. E quelle due paroline (Rema, Rema) sussurrate in un luogo dove potremmo essere sbranati da un momento all’altro mi sembrano molto efficaci a descrivere la musica di questo gruppo.
Ma, anche se nel testo della canzone si allude a qualcuno che gira per le le stanze (la tigre?) facendo mm mm mm, magari quel racconto di Cortazar non c’entra proprio niente…
Aloha...
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