“Il più grande lavoratore”.

Instancabile e zelante, iperproduttivo.

Eroe del lavoro socialista, annegato nell’ozio e nella vodka, ovvero Aleksej Grigor'evič Stachanov.

Eroe dell’immaginario americano, e non solo.

Superuomo, parzialmente bipolare, dotato di poteri speciali.

Esempio per grandi e piccini, vulnerabile alla kryptonite, ovvero Superman (Clark Kent/Kal El).

Una produzione allucinante in 29 anni di attività ufficiale.

Polistrumentista e cantante.

All’apparenza non ha punti deboli, se non il semi-anonimato, ovvero Richie Kotzen.

Per mera curiosità, dopo una banalissima ricerca feizbukkiana, “The Edge” conta 17 milioni di follower(s), “Slash” ne conta 11 milioni, John Frusciante, di affezionati, ne ha 7,8 milioni, mentre il talento di Kotzen è seguito da 255mila persone, ovvero 1/10 di Tiziano Ferro.

Kotzen ha l’abnegazione del minatore ed i super poteri del giornalista kryptoniano (suona la chitarra e canta da semidio), ma non ha mai beneficiato della meritata fama.

In precedenti recensioni ho letto di paragoni a Chris Cornell e Glenn Hughes. Mi trovo perfettamente allineato sul compianto leader di “Soundgarden” e “Audioslave”, un po’ meno sul secondo, ma, in questo album, il multistrumentista di Reading strizza l’occhio al soul, avvicinandosi anche a Marvin Gaye o, nei falsetti, a Gallant.

Il 21esimo album solista, dopo i superbi lavori con Sheehan e Portnoy (“The Winery Dogs”), è un album di 10 brani che escono dai voluminosi scatoloni della produzione “kotziana”, dunque prima di far naufragare cose nel profondo dell’anima, ecco che nasce “Salting Earth”.

Una copertina tra l’orrido e l’indecente. Dune nere realizzate con la grafica 2d del Commodore64 sulle quali compare il nome dell’opera, una scritta Doom Metal Style insensata ci ricordano il nome dell’artista ed un pessimo photoshop fa sprofondare gli occhi di Richie in un raccapricciante contrasto di colori come il rosa/arancione.

Come si suol dire, la copertina non fa l’album, per fortuna.

Interamente suonato e missato da Kotzen stesso (voce, chitarra, pianoforte, basso e batteria) ad eccezione di qualche coro realizzato dalla compagna e bassista Julia Lage (nella funky “Make it Easy”).

“It’s something I really needed to do in order to reset myself / E’ qualcosa di cui avevo realmente bisogno per resettarmi”.

Dopo tutte le collaborazioni e progetti collaterali, in questo album, l’ex “Poison” e “Mr. Big” si resetta e si concede di spaziare dalle hard-rock “End of Earth” (riff accattivante, voce graffiante, refrain cantabile ed un assolo maiuscolo ad impreziosire il finale) e “Thunder” (gran tiro e solidissima performance vocale), alle ballate di “I’ve got you” (un pop patinato, fine anni ’80) e “My Rock” (che potrebbe soddisfare un certo target di innamorati con l’animo r’n’roll).

Vicina a taluni lavori de “The Winery Dog” è la terza traccia, “Divine Power”, cupa e monolitica, mentre totalmente inaspettata è “This is Life” che ci mette di fronte ad una prova vocale clamorosa, per tecnica ed espressione, in ambito soul, mentre la parentesi blues arriva in “Meds”.

Gli interventi minimali, ma ben disegnati sul “Rhodes” di “Cannon Ball” ci introducono al primo singolo estratto e ultima traccia dell’album, ovvero “Grammy”, che immediatamente ho rimandato al pop-rock radiofonico di John Mayer.

Diamo a Kotzen, ciò che è di Kotzen: un supereroe stacanovista dei nostri tempi.

Anzi, diamogli anche qualcosa in più, che se lo merita!

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