E' un libro che racconta la vicenda artistica dei Death e del suo leader Chuck Schuldiner. Dai primi cacofonici parti musicali, del tutto inascoltabili, fino all'affermazione mondiale con album prodigiosi che hanno fatto la storia del Death Metal. Chuck era un ragazzo che ha sempre pensato con la propria testa; e che ha lottato fino alla fine dei suoi giorni, sconfitto da un tumore che lo ha portato via a soli trentaquattro anni.
Sono riuscito a contattare l'autore del libro, giovane ragazzo della provincia vicentina. Ne è venuta fuori questa lunga conversazione, questo lungo scambio di opinioni, soprattutto da parte di Rino, tra due persone che conoscono a memoria i Death ed "Evil" Chuck. Ecco allora il resoconto integrale, chiedo da subito venia per la lunghezza, di questa chiacchierata.
1) Ciao Rino; partirei subito con il chiederti come hai conosciuto la band di Chuck Schuldiner; e raccontami anche come è nato il tuo innamoramento per tutta la musica Metal.
“I miei fratelli più grandi, soprattutto il più vecchio, sono sempre stati appassionati di metal e rock: musica e dischi non sono mai mancati a casa mia, e così da piccolo ho inconsciamente assorbito questo interesse. Già alle elementari ero diventato un vero fanatico dei Queen: la figura di Freddie Mercury e la sua voce mi avevano letteralmente rapito, tanto che ogni volta che uscivo in macchina coi miei genitori li ‘assillavo’ con un paio di cassettine che ascoltavo ripetutamente. Per fortuna, anche mio padre li apprezzava! Alle medie andai in fissa per band rock recenti come Backyard Babies e Hardcore Superstar, mentre alle superiori ebbi un periodo di parziale distacco dalla musica; fui riconquistato dopo un concerto degli stessi Hardcore Superstar, a cui mi portarono i miei fratelli. Il giorno seguente feci razzia dei cd dei Metallica in camera di mio fratello, e mi misi ad ascoltarli compulsivamente: fu curioso notare come mi paresse di conoscere già tutte quelle canzoni, pur non avendole mai ascoltate consciamente! Da lì in poi fu tutta un’escalation incredibile: per natura, quando io mi interesso di un determinato argomento, sono portato ad affrontarlo in maniera totale, voglio conoscerne tutto. Per il metal è stato così: all’inizio non pensavo che fosse un universo sterminato, volevo conoscerne i vari sottogeneri e mi avvicinai con alcuni best of alle band principali; ma poi volli immediatamente documentarmi sulle loro discografie dettagliate, e da lì mi accorsi che le band da consoscere erano davvero tantissime! Sono passati più di dieci anni da allora, e non ho ancora finito la ricerca, la caccia: il bisogno di scoprire sempre qualcosa in più non è cessato, la fame di conoscenza è ancora bulimica. Anche per i Death è andata così: erano una di quelle band che al primo acchito mi aveva detto poco, li trovavo troppo duri: ascoltati ‘The Sound of Perseverance’ quando il death non era ancora nelle mie corde, ero un fanatico del thrash. Mi colpii solo la melodia struggente di ‘Voice of The Soul’, ma ripresi in mano quella band soltanto anni dopo. L’impatto fu totalmente diverso rispetto alla prima volta: sembrava qualcosa di magico, come se nel frattempo avessi trovato la chiave per aprire dei forzieri pieni di meraviglie. I loro album erano proprio così: da ‘Perseverance’, ascoltati tutta la loro discografia a ritroso, dall’ultimo al primo album, restando esterrefatto per la bellezza di quella musica e chiedendomi come avessi potuto ignorare o trascurare tanta bellezza fino ad allora. Di pari passo, iniziai a documentarmi sui testi e sulla vita di Chuck Schluldiner, e qui scoccò la scintilla definitiva: a me piace immedesimarmi nelle band e in ciò che dico, quelle che mi piacciono solo dal punto di vista musicale sono comunque un gradino sotto a quelle di cui condivido i pensieri. E i Death mi hanno folgorato: mi sono immedesimato tantissimo nella figura di Chuck e nella sua filosofia, fino a ritenerlo un vero punto di riferimento esistenziale. Quei momenti, quei mesi di scoperta maniacale, rimangono indimenticabili e affascinanti per me: ricordo che non ero mai sazio, cercavo in continuazione aneddoti, curiosità, pezzi rari o versioni demo che magari mi erano sfuggite. Se non ci fosse stata la componente umana e lirica di Chuck, probabilmente, non mi sarei innamorato così tanto dei suoi Death”.
2) Una cosa mi ha colpito più di altre nella lettura: l'incredibile supporto dei familiari nei confronti di Chuck. Lo hanno sostenuto ed incoraggiato da subito, da quando aveva trasformato il garage di casa in una rudimentale sala prove per le sue prime composizioni non proprio melodiche! Anche nella fase purtroppo terminale della sua malattia i genitori, la sorella ed i migliori amici gli sono stati vicini; esaudendo anche il suo desiderio di morire nella propria abitazione. A tal proposito vorrei chiederti se sei riuscito in questi anni ad entrare in contatto con i familiari di Chuck.
“Confermo quel che dici a proposito dell’unione della famiglia Schuldiner: se lui è diventato ciò che è diventato, cioè un ragazzo onesto, trasparente e di sani valori, con la continua voglia di migliorarsi senza accettare compromessi, è merito proprio della sua famiglia. Purtroppo non sono riuscito a mettermi in contatto con qualche suo parente: anni fa, quando ancora il libro era solo un pensiero, un sogno remoto, provai a scrivere alla madre, senza tuttavia ricevere mai risposta. Immagino che sia comprensibile, viste le tantissime lettere e mail che riceverà ogni giorno”.
3) Con il tuo libro, che ho letteralmente divorato in un paio di giornate, hai eliminato una sorta di "buco nero" nei riguardi dei Death: infatti nessuno si era mai occupato di mettere per iscritto la vicenda artistica della band della Florida. Posso ben immaginare come ti sia sentito fiero ed orgoglioso per aver portato a termine tale complesso progetto. Hai conosciuto qualche musicista che ha avuto il piacere di suonare con Chuck?
“Anche qui devo risponderti negativamente, anche se un’appendice del libro è firmato da Joe Laviola dei Gory Blister, che aveva incontrato Chuck ai tempi di alcune sue vecchie ‘calate’ italiche. Per quanto riguarda la soddisfazione personale, devo dire che è stato davvero un orgoglio poter mettere la mia firma sul primo libro riguardante i Death: quando ho iniziato ad amare questa band e questo musicista, infatti, ho sentito il bisogno impellente di metterne nero su bianco analisi, riflessioni, aneddoti e fatti, raccontati direttamente dai protagonisti nelle interviste dell’epoca, in modo da poter tramandare a tutti, nuovi e vecchi appassionati, la storia di questa entità così importante nella storia della musica dura. Io per primo amo possedere libri e biografie dettagliate delle band che amo: internet è una gran cosa, ma reputo piuttosto sterile l’esistenza di tante interviste, frasi e dichiarazioni sparse senza un ordine nella rete. Ho bisogno del cartaceo, del tomo completo in cui ritrovare tutto l’essenziale a proposito di una certa tematica”.
4) Vorrei soffermarmi sui testi degli album dei Death: un'evoluzione, una trasformazione prodigiosa come del resto la musica concepita dalla band. Dalle citazioni splatter-gore dei primi due dischi, con il terzo lavoro "Spiritual Healing" Chuck ha cambiato radicalmente atteggiamento: incomincia a dedicarsi a temi di rilevanza sociale come l'aborto, l'abuso di droghe, il pericolo di un progresso scientifico senza controllo. Cosa puoi aggiungere al mio pensiero Rino?
“Ti devo in parte correggere, perchè l’evoluzione lirica di Chuck inizia già da ‘Leprosy’, disco in cui era possibile cogliere le prime riflessioni esistenzialiste. Erano sempre crude, non ancora raffinate come in seguito ovviamente; ma già in quel disco era impossibile parlare solamente di splatter fine a sè stesso. Da ‘Spiritual Healing’, poi, il balzo clamoroso: ed è spettacolare osservare come musica e testi siano cresciuti a braccetto, in maniera perfettamente proporzionata. La precisione e la costanza con cui Schuldiner è cresciuto e si è evoluto è uno degli aspetti più belli nella storia dei Death, secondo me: anzi, devo aggiungere che trascurare l’aspetto dei testi significherebbe perdersi il 50% dell’essenza stessa dei Death. Se mi sono innamorato in maniera così forte di questa band è anche per i testi, o forse ‘soprattutto’ per i testi. In essi Chuck affronta tematiche e problemi vari, e a quelli che elenchi tu aggiungerei quello preponderante: la falsità delle persone. Chuck, sebbene dipinto come arrogante e dispotico, era un ragazzo davvero umile, onesto e sensibile; era disgustato dalla falsità della gente, credo che bugie e pugnalate alle spalle lo turbassero in maniera particolarmente profonda, suscitando in lui un misto di rabbia e tristezza notevole. Sensazioni che ne hanno segnato l’esistenza, portandolo a sfogare in musica tanta frustrazione e, di pari passo, a concentrare nei suoi testi una fortissima critica all’animo umano. Sempre personalmente, penso che crescendo Chuck sia rimasto molto deluso dagli uomini: lo si capisce dai tantissimi testi in cui parla di questa falsità e di queste ‘doppie facce’, come appunto in ‘Secret Face’, ‘Trapped In A Corner’ e ‘Mentally Blind’, che è un feroce attacco a chi non si sforza di andare oltre la visione del suo orticello. I temi sociali come l’aborto, la droga e simili sono affascinanti, ma vengono trattati spesso anche da altre band; i testi davvero eccezionali di Chuck, secondo me, sono quelli in cui si cala nella psiche umana e ne analizza tutti i lati più morbosi. Il fanatismo religioso di ‘Spiritual Healing’, l’esistenza di persone che campano sulle menzogne e si rifugiano in facili scappatoie (‘Low life’, ‘Overactive Imaginations’), l’ignoranza di chi critica il ‘diverso’ come fosse un fenomeno da baraccone (‘Together As One’). Che dire poi di testi al limite del filosofico, come quelli di ‘See Trough Dreams’, ‘Symbolic’ o ‘Nothing Is Everything’, veri e propri viaggi nelle emozioni più intime del suo ‘io’? O delle sue domande senza risposta a proposito dei grandi misteri della vita, come in ‘Destiny’, ‘Sacred Serenity’ o ‘Perennial Quest’? Li reputo molto affascinanti e poetici, perchè Chuck era proprio questo: un poeta. Molto importante, poi, era per Chuck il bisogno di pensare con la propria testa, di ‘possedere la propria mente’: la titletrack di ‘Individual Thought Patterns’ è eloquente, in tal senso. Il percorso di crescita lirico di Schuldiner ha conosciuto dunque varie fasi: dallo splatter del debut ai testi più introspettivi e critici dei dischi successivi; su ‘Symbolic’, invece, Chuck sembrava più sereno e, più che criticare lo schifo del mondo che ci circonda, si è messo a filosofeggiare sui grandi quesiti dell’esistenza umana. Su ‘Perseverance’, invece, è tornato, per qualche motivo, a puntare l’indice contro le mostruosità umane: ‘Scavenger Of Human Sorrow’, per esempio, è un monumentale atto di accusa verso tutta quella gente che morbosamente si ciba delle disgrazie altrui (mi vengono in mente tanti programmi-pattumiera della nostra televisione, o le persone che si facevano le foto davanti alla Costa Concordia affondata, se non addirittura di fronte alle abitazioni di qualche ragazzina vittima di efferati omicidi, come se fossero luoghi turistici!). ‘Spirit Crusher’ descrive la razza umana come ‘genere immorale che distrugge e uccide’, ‘umano alla vista ma mostruoso nel cuore’. E’ una delle canzoni più severe nei confronti degli uomini. La poesia di ‘Story To Tell’ e ‘To Forgive Is To Suffer’ è elevatissima, mentre ‘Bite The Pain’ è quasi commovente: Chuck affronta di petto il dolore, dice di continuare a lottare nonostante le pugnalate, ed è triste pensare che nonostante tanta caparbietà alla fine il destino sia riuscito in ogni caso a farlo soccombere. O forse no: fisicamente Chuck ha dovuto arrendersi, ma la sua leggenda e i suoi ‘insegnamenti no’. E’ come se vive ancora tra noi, DEVE essere così: e il mio libro vuole essere un modo per permettere che questo accada”.
5) Hai fatto un gran lavoro andando a tradurre buona parte delle canzoni scritte da Chuck. Per le traduzioni ti sei fatto aiutare da qualcuno di madrelingua inglese? Ti chiedo questo perchè negli anni scorsi ho letto un'intervista di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, che era rimasto inorridito su come erano state tradotte in italiano le sue canzoni. Secondo la sua opinione erano piene di menzogne e completamente sbagliate: se ciò che aveva composto aveva un senso positivo era interpretato nel modo contrario!
“I ragazzi della Tsunami sono molto attenti e professionali in tal senso, abbiamo lavorato al meglio per fare in modo che le traduzioni fossero più attendibili possibili. Tra l’altro, mi sono anche aiutato con dichiarazioni ed interviste varie in cui era lo stesso Chuck a spiegare i significati delle sue liriche, quindi credo che il risultato sia realisitico e assolutamente affidabile”.
6) Chuck era un ragazzo determinato come pochi altri in ambito musicale; amava quello che faceva e soprattutto non ha mai fatto un passo indietro. Sempre pensando con la propria testa e "comandando" con estrema decisione la band: sette album pubblicati con sette formazioni diverse; una sorta di dittatore ma con le idee chiarissime. Dove poteva arrivare a parer tuo? Fin dove poteva spingersi con i Death e con i Control Denied?
“Credo che avrebbe continuato sulla scia progressive intrapresa con i Control Denied. Probabilmente avrebbe rimesso in stand-by i Death, ‘scongelandoli’ con intervalli di tempo sempre più considerevoli, fino a ridurre al minimo la loro presenza discografica. Il suo futuro era lontano dal death metal vero e proprio. O, forse, avrebbe avuto un inatteso re-innamoramento per le sonorità più estreme e avrebbe ripreso a sfornare grandi dischi di techno-death dopo un lungo intervallo dedicato solo ai Control Denied: purtroppo non potremmo mai saperlo”.
7) Domanda finale a bruciapelo: il tuo disco preferito dei Death ed in poche righe dimmi il motivo di tale scelta. Per quanto mi riguarda ti dico "Human": 34 minuti di totale "sballo uditivo". Tecnica, violenza, precisione: come degli orologi svizzeri! Non sbagliano uno stacco, un cambio di tempo. Incredibile disco, per me il migliore di TUTTO il Death Metal.
“Anche per me, il migliore è ‘Human’: è come se fosse la punta della piramide, quello che si colloca esattamente a metà nella produzione dei Death. Prima, c’erano dischi molto aggressivi in cui sono state introdotte melodia e tecnica in modo graduale; dopo, dischi molto melodici e progressive in cui la componente death ha un peso via via minore. ‘Human’ invece bilancia ogni elemento in maniera perfetta, credo che sia la rappresentazione in musica della perfezione, quantomeno nelle ramificazioni estreme dell’heavy metal tutto. Lo colloco insieme a ‘Master Of Puppets’, ‘Painkiller’, ‘Rust In Peace’, ‘Reign In Blood’, ‘The Number Of The Beast’ e pochissimi altri tra i MIGLIORI dischi metal di sempre”.
Abbiamo terminato il nostro viaggio attraverso la Musica dei Death; in conclusione devo delle scuse a Rino perchè mi sono avvicinato al libro non molto convinto visto la sua giovane età. Mi sono detto, colpevolmente: "Ecco il solito ventenne che si permette di avvicinarsi all'inarrivabile Chuck Schuldiner". Ho dovuto ricredermi dopo pochissime pagine: ha fatto un lavoro eccellente ed anche emozionante nella sua parte finale. Gliene sono in qualche modo grato. Amo Chuck come pochissimi altri personaggi musicali; e lo voglio ricordare con il suo bel sorriso nella foto di copertina.
"Il modo più opportuno per omaggiare Chuck è continuare ad ascoltare quelle magistrali canzoni ad alto volume. Lasciando che il metal fluisca" (Cit. Steve DiGiorgio).
Ad Maiora.
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