Mozzafiato. L’inizio, almeno. Perchè l’opening track di "Appeal To Reason" definisce nella maniera più esauriente il concetto di hardcore melodico, assurgendo a vero e proprio paradigma del genere: "Collapse" si snoda attraverso stacchi brucianti e repentini, stop 'n' go, oozin-aahs alla Graffin e cenni di assolo alla "Modern Man". L’incipit a cappella della seconda strofa rende, se possibile, il suo ricordo ancora più indelebile.

Ma, come si legge, è solo l’inizio.

La terza fatica dei Rise Against su major (che segue il forse troppo ruffiano "Siren Song Of The Counter Culture" e il più che buono "The Sufferer And The Witness"), infatti, non è scevra da ombre ed offre facilmente il fianco a critiche. Ma andiamo con ordine.

L’ “appello alla ragione” è stato proferito e si sente: il combo di Chicago relega le sfuriate hardcore dei primi lavori ad una manciata di episodi (la sopraccitata "Collapse" e "Kotov Syndrome", davvero un buon pezzo, quasi un sentito epitaffio in onore dei Good Riddance, i cui dettami stilistici sono per i Rise Against più di una fonte d’ispirazione) per dedicarsi alla composizione di brani mid-tempo più (?) meditati (anche se non necessariamente più meditativi), che ci regalano alcuni buoni spunti: ne sono un valido esempio il singolo "Re-Education Through Labor", di ampio respiro melodico benché non banale e ammiccante al mainstream, in cui viene messa in luce la personalità del nuovo chitarrista Zach Blair (nulla di trascendentale, ma il nostro è autore di numerosi riff accattivanti che ben si prestano a spezzare il ritmo della canzone e si legano ottimamente alle soluzioni della sezione ritmica) e la traccia "From Heads Unworthy" che, per l’arrangiamento e il testo, è sicuramente la migliore del disco, con un McIlrath particolarmente ispirato nella scelta delle linee vocali.

Le note dolenti, però, non passano in sordina, anzi: in più parti del brano si registra una mancanza di ispirazione a livello musicale, esplicitata dalla quasi costante presenza di linee vocali prevedibili e di ritornelli di facile presa che sembrano quasi jingle pubblicitari, votati al sing along più becero ("Savior" e "The Strength To Go On" su tutti). Anche l’arrangiamento non è esente da pecche: la progressione di ottave che apre "Hairline Fracture" non sembra il preludio ad una kattiva invettiva socio-politica, ma il main riff del singolone del più sciatto dei gruppi pop-punk.

Per non parlare dell’ultima traccia. Solitamente vertice stilistico-espressivo degli album dei Rise (la mente corre, ovviamente, ai ritmi serrati e ai toni epici e badreligioniani di "Survive"), questa volta l'ultimo episodio è l’incolore "Whereabouts Unknown", ballata dal sapore insipido e dal giro di accordi trito e ritrito. "Hero Of War", infine, è l’immancabile inserto acustico. Il sospetto che la sua presenza dipenda da una clausola contrattuale prende sempre più corpo (il brano acustico c’è in tutte le uscite targate Geffen), anche perché si tratta di un melenso pappone senza capo nè coda, con McIlrath nelle vesti di uno strimpellatore poco convinto.

Menzion d’onore, invece, ai testi. McIlrath si riconferma songwriter di talento, capace di cristallizzare frammenti disperati di realtà in versi crudi e veri, dal sapore quasi ermetico, e riuscendo ad affrontare temi affatto inflazionati cogliendone sfumature sincere e mai banali (basta dare un’occhiata a "Savior").

Tirando le somme, "Appeal To Reason" non convince appieno, pur presentando alcune soluzioni pregevoli; un “ni” che, comunque, non toglie valore e meriti ad un gruppo onesto come i Rise Against, eredi annunciati (insieme ad AWS e Strung Out) di quegli alfieri dell’hardcore melodico che ancora oggi calcano le scene. Forza, ragazzi. Ricordate che i vostri numi tutelari sono i Black Flag.

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