Su "Electric Ladder" Robert Rich torna alle trame organiche dei tempi migliori, riproponendo l'ormai consolidata fusione tra elementi acustici (flauto soprattutto) e synth elettronici (in particolare la sintesi modulare sviluppata negli ultimi anni con l'utilizzo del MOTM, di cui è tra i principali promoters).
Propinando toni meno austeri e drammatici del solito si ci muove verso ambienti naturali e meditativi in cui i registri si dilatano con fraseggi leggeri e circolari ("Concentric"), progressioni cosmiche di matrice Tangerine Dream ("Shadowline") ma giunglesche e ossessive come solo il Rich più percussivo sa essere ("Electric Ladder") e altre di ambient più canonica ("Sky Tunnel" che ricorda le uscite della Fax, "Poppy Fields" con le usuali vibranti geometrie raga, "Never Alone", splendido tappeto di narcotici droni). Rispettando quella che è una certa propensione allo strumento inusuale ad apparire stavolta è il bassoon (sorta di ibrido tra fisa e sax) suonato da Paul Hanson, che disegna tele discrete e umili; "Aquifer" il pezzo più riuscito, mistico, diluito e con una sintesi che emula un singolare ibrido tra mandolino e sitar, strisciando su di un tortuoso sentiero di spigolosa analogia che ricorda quanto fatto su "Bestiary", e che restituisce squarci del Robert Rich più ipnotico e allucinato, quello dei capolavori '80/'90.
Non scade nel manierismo facile di "Rainforest", non si avvicina alla forza visionaria di "Gaudi", tuttavia il Rich versione 'equatoriale' è sempre molto apprezzabile.
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