“Quel che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle” Paul Valéry
Languidi arabeschi elettroacustici e cuore tribale.
Sette veli mediorientali avvolgono l’arsenale di synths & samples di Rich. Lo sfocano, lo sfumano e lo relegano nella sottotrama di un tappeto sonoro in cui le novelle della principessa Shahrazād vengono annodate dal filo di un ambient leggera, a fior di pelle.
Sulla fronte riarsa di percussioni rituali ondeggiano feline odalische e, mentre i loro batter di ciglia si perdono nelle acque di riverberi elettrici, tremanti marimba si tuffano e scompaiono dietro la linea dell’orizzonte.
Sound sinuoso e famelico, Salomè danza e la testa si perde.
In pieno deserto, soffuse fiamme elettroniche illuminano bivacchi beduini in cui aliti di bamboo portano dai secoli passati leggende ancor vive. La bassa volta del cielo stellato schiaccia e opprime i sogni.
Speziati venti sintetici ed oasi inaspettate.
Il legno di un violino, come un bastone rabdomantico, vibra alla ricerca di giacimenti nascosti tra le preziose stoffe di coloratissimi bazar dipinti da frementi tabla e lussureggianti flauti traversi.
Le bizzarre ombre proiettate da inquieti violoncelli bagnano la bollente sabbia dove talvolta si scorge la nitida impronta di un dulcimer straniante.
I brulicanti microcosmi elettronici di “Trances & Drones” sono abbandonati, le impossibili architetture di “Gaudì” sono demolite, le nere pozze di “Stalker” sono depurate.
Rich nasconde la sua elettronica tentacolare in sette veli mediorientali che accarezzano la pelle, la incendiano e l’affondano dentro di noi.
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