Sarà capitato a tutti di ascoltare una canzone e restarne folgorati. È una strana sensazione, paragonabile alla scintilla esplosa tra due sconosciuti dopo uno sguardo fugace. Un’attrazione misteriosa, che ci porta a premere più volte il tasto PLAY e a ripetere l’esperienza, in uno stato di febbrile esaltazione.

Molti avranno provato questo brivido con “Simulation”, brano di Róisín Murphy datato 2013. Stiamo parlando di sette minuti di trascinante deep house, piena di sospiri e atmosfere rarefatte, perfetti per un sofisticato dancefloor. Bene, il suddetto brano vi ipnotizzerà e vi ritroverete a ballare nel salotto di casa o per strada, protetti da una mascherina FFP2, mentre raggiungete di corsa il supermarket più vicino. “Simulation” vi farà dimenticare tutto e vi farà viaggiare verso “mondi lontanissimi”, rigorosamente a occhi chiusi. Ed è davvero piacevole scoprire che è stata scelta come traccia di apertura di Róisín Machine, ultima fatica della cantante irlandese.

Róisín Machine arriva quattro anni dopo Take Her Up to Monto e, al pari di altri lavori usciti nel 2020 (Chromatica di Lady Gaga, DISCO di Kylie Minogue, il notevole What’s Your Pleasure? di Jessie Ware) segna il ritorno di sonorità disco e dance nel pieno della pandemia di COVID-19. Che sia una mossa dei produttori o il desiderio di riunire “folle” di danzatori casalinghi poco importa, perché il fenomeno, seppur bizzarro, ha un chiaro obiettivo: trasmettere positività in un periodo difficile come quello attuale.

Per l’album di Róisín ciò è vero solo in parte, perché la sua genesi risale ai primi anni Dieci, quando viene realizzata la già citata “Simulation”. Tra un disco e l’altro i lavori procedono e il tutto viene supervisionato da Richard Barrett, musicista e collaboratore di lunga data. Arriviamo al 2019: la pubblicazione di “Incapable” lascia intravedere la fine del percorso, terminato nel 2020, quando viene finalmente dato alle stampe Róisín Machine.

Il primo elemento ad attirare l’attenzione è il titolo, frutto di un’assonanza tra il nome dell’artista e la parola “machine”. Oltre al carattere ludico vi è però un accenno alla forza dirompente di Róisín Murphy, una vera e propria performer (avete dato un’occhiata alle sue esibizioni durante il lockdown?), dotata di una voce profonda e un look a dir poco eccentrico. Questo mix esplosivo viene diluito in dieci tracce per cinquantaquattro minuti di musica. E che musica verrebbe da dire, perché Róisín, pur non rinunciando al suo approccio cerebrale, cambia decisamente candeggio, virando verso una “dance-oriented club music” etichettabile come nu-disco.

Ad aprire le danze ci pensa “Simulation”, che dopo sette anni, seppur in versione riarrangiata, riesce ancora a trasportarci in un’altra dimensione. Proseguendo l’ascolto incontriamo brani che non solo non deludono le aspettative ma raggiungono un equilibrio tra passato e presente in grado di offrire nuove e intriganti possibilità di sperimentazione. È ciò che avviene in “Something More”, dove i rimandi agli anni Novanta si intrecciano con elementi tipici del grime e della dubstep, mentre Róisín si lascia andare a confessioni schiette e genuine (“I live my life the way I want, I own my mistakes/And if it all goes up in flames/I will only ever have myself to blame”). Non è da meno “Incapable”, un’immersione nella house più profonda il cui punto di forza è la produzione, raffinata e dal crescendo coinvolgente (il testo, invece, riflette sulla fine della relazione con l’artista Simon Henwood e si distingue per le amare considerazioni: “Never had a brokеn heart/Am I incapable of love?/Never seen me fall apart/I must be incapable of love”). Il disco non ci regala solo chiccherie da lounge bar, ma anche brani caciaroni come “We Got Together”, con il suo mix di tastiere acide e riverberi che ci proietta direttamente nell’iperspazio. “Narcissus” sembra uscita dagli anni Settanta e provoca un senso di vertigine e disorientamento (chi si immaginerebbe di ballare ascoltando frasi come: “The saddest story ever told/The narcissistic glory to be all alone/And I could show you, listen what I say/To feel real love is to give it away”). E non mancano momenti bizzarri come l’infinito accumulo di tensione di “Kingdom of Ends” e l'improvvisa decelerazione di “Game Changer”, un inno al rinnovamento artistico con dedica al producer e amico Richard Barrett. Il livello è talmente alto da far sì che “Jelousy” non suoni liberatoria ma malinconica, perché conclude tristemente la riproduzione.

È davvero superfluo aggiungere altro e l’unica critica che facciamo alla nostra eroina è di essere arrivata solo oggi a un disco di tali proporzioni. E sì, perché con questo album Róisín Murphy si è superata, realizzando un bignami della club culture che non suona come un tributo nostalgico ai tempi andati, ma come un tentativo assolutamente riuscito di fondere passato e presente musicale. Senza rinunciare alla forza per guardare avanti e desiderare qualcosa in più. E in un periodo come questo, non possiamo che essere d’accordo.

I want something more”!

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