Con la "Fase 2" dell'emergenza Covid-19 appena iniziata da un po' di giorni, è stata mia intenzione acquistare un libro che mi ha permesso di poter finalmente abbracciare convintamente la causa del grandissimo musicista irlandese che risponde al nome di William Rory Gallagher, ossia "Rory Gallagher: Il Bluesman con la camicia a quadri" scritto dall'ottimo Fabio Rossi e, conseguentemente, ho deciso di continuare la ricerca alla sua assai pregevole discografia e l'attenzione è ricaduta immediatamente su questo "Live! In Europe" pubblicato nel lontano (ma non troppo!) 1972.

Dopo l'avventura breve ma intensa con i Taste, il giovane quanto deciso Rory compone due ottimi album solisti, l'uno l'omonimo "Rory Gallagher" a inizio 1971 e l'altro eccellente "Deuce" di pochi mesi più tardi, e poi decide con il suo "power trio", composto dall'ottimo Gerry McAvoy al basso e da Wilgar Campbell alla batteria, di dare sfogo alla dimensione a lui indubbiamente più congegnale, quella, cioè, del live e nel 1972 vede la luce questo primo, strepitoso album "in presa diretta" con il Tour europeo che il grandioso chitarrista intraprese in quell'anno praticamente in mezza Europa (e una tappa della quale ebbe persino luogo a Milano sempre in quell'anno, precisamente presso il "Teatro Lirico" il 12 febbraio).

L'album in questione si compone di 7 eccellenti tracce (più due di bonus aggiunte nella versione rimasterizzata su CD del 2018) che mettono in luce un Rory Gallagher in forma smagliante e capace di "matare" gli spettatori dei suoi adrenalinici concerti con la sua leggendaria Fender Stratocaster modello Sunburst del 1961 (originariamente appartenuta, per la cronaca, un certo Buddy Holly, non un nome qualsiasi!). Si parte al massimo la classica "Messin' With The Kid" con bella sei corde di Rory che scalda decisamente i motori, seguita dall'altrettanto scatenata "Laundromat" tratta dall'album d'esordio, che accenna un Hard Rock potente ed incisivo quanto basta per mandare già in estasi l'adorante suo pubblico.

I classici canoni Blues tornano a bomba con "I Could've Had Religion" in cui a dominare la scena è la strepitosa "slide guitar" di Rory e con un altro classico, questa volta a firma Fulton Allen, che porta il nome di "Piston Slapper Blues" con cui dimostra anche imbacciando la chitarra acustica di essere nettamente una spanna superiore rispetto alla grande maggioranza dei suoi colleghi.

Ma il pezzo migliore di tutto l'album è rappresentato indubbiamente dalla magnetica "Going To My Hometown" con il solito, monumentale Rory al mandolino dove emerge però anche la (fin troppo sottovalutata) vena cantautorale dell'irlandese che in questa canzone ci fornisce, infatti, uno spaccato della propria infanzia ai tempi della sua permanenza a Cork con la famiglia.

"In Your Time", tratto da "Deuce", è, invece, un pezzo qui riprodotto con energia con un altro inappuntabile assolo di Rory a metà brano, mentre l'epilogo è affidato a un classico ri-arrangiato sempre dal magico tocco di Rory quale "Bullfrog Blues" che chiude di fatto un album Live che può esser considerato non solo imprescindibile punto di partenza per capire il valore assoluto di un Musicista con la maiuscola troppo spesso dimenticato e bistrattato in vita da certa critica, per così dire, "perbenista", ma soprattutto per comprendere appieno quella "magia musicale" che solo i cosiddetti "Seventies" potevano riservare.

Un'ultima nota riguarda i due "bonus-track" contenuti nella versione rimasterizzata in CD "What In The Word" e "Hoodoo Man" che confermano la magnifica predisposizione del genio irlandese al Rock/Blues più sanguigno e viscerale in assoluto.

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