Quello che riesce magnificamente al signor Sakamoto è costruire sonorità

Nato come primogenito del drago [龍一], cresciuto come componente della fascinazione robotica di stampo giapponese — meglio conosciuta come YMO— e maturato nella composizione di colonne sonore delicate e senza tempo, Sakamoto è nel 1986, a 34 anni, al suo sesto album solista: ha già composto, tra le altre cose, il caleidoscopio nippo-occidentale “Illustrated Musical Encyclopedia” [音楽図鑑], il gioellino elettronico B-2 Unit e il soundtrack del film (per la verità bruttino) “Furyo [俘虜] / Merry Christmas Mr. Lawrence”, dando alle stampe la celebberrima “Forbidden colours”, esempio paradigmatico della collaborazione di lunga data Sakamoto/Sylvian.

La fascinazione di Sakamoto per il suono sintetico e smerigliato, affinato con i suoi compagni della Magica orchestra gialla (Hosono e Takahashi, dei quali vi consiglio vivamente di ascoltare la variegatissima produzione solistica), è qui ripresa non senza cortocircuiti: all’immaginario MIDI del videogioco nipponico — verrebbe da dire “allo stile pachinko”—, Sakamoto sostituisce l’immaginario, più fantasticato che reale, del futurismo d’inizio ‘900. All’universo kraftwerkiano sostituisce, pur rimanendo nelle medesime coordinate, l’universo velocista: si veda la copertina in cui Sakamoto fa il verso al bassotto di Balla (“Dinamismo di un cane al guinzaglio” del 1912).

Alternando campionamenti gracchianti di Marinetti + beat ossessivi (in “Variety show”) a proto-IDM (“Daikokai”); funky, schitarrate e voci sintetiche (“Ballet Mechanique”) a Sakamoto riesce comunque a dare, come al suo solito, un tono unitario all’album. Non che l’abusatissima etichetta di concept album gli si addica. Sembra piuttosto che la cosa vada intesa al contrario, come un pretesto del signor Sakamoto per attingere ad un serbatoio di idee, come può esserlo lo pseudo-futurismo, per farne qualcosa di personale. Nel 1986 era la volta del futurismo, mentre ad esempio nel 2017 è stata la volta (con “async”) del cinema di Andrej Tarkovskij. Nel 1999 invece, per dirne una, fu la volta (con “BTTB”) di Eric Satie.

Pur denotando immediatamente l’appartenza ai propri anni (’80), quest’opera è anzitutto e perlopiù un prontuario del modo di comporre/giustapporre di Sakamoto: il costruire, attorno ad una tematica filtrata, rimasticata e digerita in prima persona, una sorta di melieu sonoro, nel quale sono comunque riconoscibili le coordinate di Sakamoto: il Giappone e l’Occidente.

P.S. Non metto le stelline perché ritengo insensato dare voti alla musica.

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