Album d'esordio per questa band già nota al pubblico locale ed agli appassionati del genere ben prima dell'uscita dello stesso. Si tratta di un lavoro che rispecchia i canoni della taranta calabrese, pur presentando caratteristiche che lo distinguono dal movimento, rendendolo originale.

In primis l'assenza di strumenti a tasti (su tutti fisarmoniche ed organetti che solitamente spadroneggiano nel genere), la forte presenza del flauto traverso della bravissima Rosa Mazzei, che insieme al mandolino ed agli onnipresenti tamburelli caratterizza fin dagli albori questo ambizioso progetto musicale. Molto in evidenza il bassista Michele Petrone, un musicista diplomato al conservatorio della città bruzia già stimato e conosciuto professionista allo strumento citato e non solo. Particolare insolito è quello di rinunciare alla tradizionale batteria, sostituendola con varie percussioni tra le quali, oltre ai succitati tambrelli classici, spicca il cajon peruviano (certamente non uno strumento tipo della musica calabrese)

Tradizione ed innovazione si amalgamano nelle ritmiche e nella melodie di quest'album, in cui brani della tradizione popolare ed inediti si alternano, mantenendo tutto sommato un sound omogeneo e coinvolgente. I picchi dell'album si raggiungono nella title-track, divenuta col tempo il brano più famoso del gruppo, un pezzo ipnotico caratterizzato da melodie dolci sostenute da una ritmica calzante ed ossessiva; nei brani "Amuri" e "'A Giustizia", ballate lente e vagamente spagnoleggianti, caratterizzate anche da testi di un certo spessore e per quanto riguarda il livello strumentale nei brani "Strummulu" e "A Magaria".

Nel complesso un album molto godibile ed armonico, che trasuda Calabria da tutti i pori e che rappresenta per la band una buona base di partenza per ritagliarsi un posto di riguardo nell'ambito della musica etnica regionale e non solo.

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