Il 1991 fu sicuramente l’anno del Death Metal.
In questo periodo, infatti,il genere raggiunse il suo climax, la capacità compositiva dei gruppi del genere era fecondissima e le innovazioni che portò questa musica nell’ambito Metal lo consacrarono definitivamente tra i generi principali, a fianco del Classic e Thrash, da dove il Death derivava direttamente.
In questo periodo, quindi, uscirono la maggior parte dei capolavori memorabili del genere, tra cui, menzionando i più celebri e indubbiamente migliori, ”Human” dei Death del povero Chuck Schuldiner (R.I.P), l’ottimo “Blessed Are The Sick” dei Morbid Angel, ”Cause Of Death” degli Obituary, ”Unquestionable Presence” degli Atheist, l’eccellente terzo lavoro dei Pestilence “Testimony Of The Ancients” ed infine questo “Arise”, di quel gruppo (oggi tristemente decaduto e noto ai più per le sue melodie nu-metal e, come dice giustamente il nostro cliffburton86, ”growl alla Harry Potter”) che ai tempi veniva tranquillamente associato ai succitati nomi e considerato altrettanto valido (infatti, personalmente, al giorno d’oggi i veri metallari non credono nei Sepultura più di quanto il Papa creda nei Motorhead).
Molto probabilmente, questo disco vanta la miglior produzione mai eseguita su un lavoro metal (non a caso, l’artefice del capolavoro è un tipino di nome Scott Burns, che ha già lavorato con moltissimi gruppi tra cui parecchi di cui sopra). Il cìdì è stato registrato nel 1991 agli storici Morrisound Studios dalla formazione originaria dei Seps dopo il cambio del primo chitarrista, ovverosia il grande (quello di una volta) Max Cavalera alla voce e alla chitarra ritmica, che con un growl assolutamente inconfondibile ne dice su di tutti i colori contro la Chiesa, il Fascismo, l’ingiustizia e contro il Mondo in generale; il bravo Andreas Kisser alla lead guitar, che interviene spesso con fulminanti assoli che si presentano però ai miei occhi spesso privi di senso; Paulo Pinto Jr al basso, che non sa suonare e se ne vanta (sarà il cervello bruciato dalle troppe sniffate di mastice per scarpe, sarà la sua inconsistenza tecnica-compositiva, ma l’uomo ignora la parola “passaggio” e non si discosta minimamente dalle linee di chitarra, in pieno stile Slayer) e il polipo umano Igor Cavalera, che su questo disco offre una prestazione sbalorditiva confermandosi così tra i migliori batteristi Death Metal.
Il suono si incupisce, un’atmosfera onirica e ipnotica si impadronisce del disco, fino a quando uno scoppio in lontananza dà il via all’Inferno: è l’inizio di “Arise”, la title-track, forse la migliore song del disco, con un’ottima prestazione dei fratelli Cavalera ed un Pinto disperato che non sa proprio raccapezzarsi tra le tre note che compongono il riff della canzone.
Le altre song degne di nota sono “Dead Embryonic Cells”, che riscosse alla sua uscita un enorme successo, ”Disperate Cry”, ”Murder” “Under Siege” e “Infected Voice”: nonostante questo, è difficile trovare un calo di prestazioni nelle altre songs, e gli episodi meno felici (“Subtraction”, ”Altered State” e “Meaningless Movements”) sarebbero degne di un’altra band di livello medio-alto. Se, inoltre, avete l’edizione rimasterizzata del 1997, potete contare su alcune bonus track, cioè un remix di Burns su “Desperate Cry” (dove il basso, purtroppo, si sente causandoci forti crisi di coscienza sul perché uno strumento così bello debba essere suonato da un uomo così incapace), un’ottima cover di un classico dei Motorhead, ”Orgasmatron”, veramente eccezionale e molto originale e ben realizzata, e un pezzo chiamato “Intro-C.I.U (Criminals In Uniform) che i simpatici comunisti volevano inserire alla fine del cd ma non lo fecero per problemi di durata.
Il filo conduttore, come avrete certamente capito, sono tematiche di protesta socialmente impegnate, rabbia a tonnellate e, ultimo ma non meno importante, un Pinto disperato alle prese con uno strumento che, ai suoi occhi, appare come un serpente velenoso (poverino).
Il capolavoro dei Seps, insomma: un disco che ha preso il Death-Thrash di “Schizophrenia” e “Beneath The The Remains” e l’ha portato alla sua logica conclusione, potendo contare stavolta su un’ottima produzione che non mina la qualità del lavoro (com’era successo con altri lavori).
Un pezzo di storia assoluto del Death, suonato come si deve (e qui Pinto si mette a ridere) con l’aggiunta d’ottime tematiche e una produzione eccellente.Un disco da relegare ai posteri, insomma, una delle rarissime gemme che il Death non dimenticherà mai e a cui guarderà con immenso, tristissimo rimpianto.
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