Nel caldissimo agosto dell'anno passato Netflix rilasciava una serie dal poco equivocabile nome di Atypical. A dire il vero, semanticamente, il termine potrebbe essere soggetto a più di un'interpretazione, ma collegato alla principale piattaforma di streaming mondiale ed essendo made in Usa è difficile sbagliarsi e non pensare che si parli di nerd sfigati. Fuochino.
Sam, il protagonista di Atypical, è un adolescente affetto da autismo: il fatto che sia un nerd è probabilmente più una ripercussione stilistica della sua condizione. La serie, in otto episodi, ruota intorno ad un periodo specifico della sua vita, quello preferito delle serie con protagonisti adolescenti, ossia l'avvicinamento all'inesplorato e misconosciuto mondo del sesso, con tutte le disavventure che ne derivano: questo, unito ad una tema 'serio' come quello dell'autismo, ne fanno probabilmente l'equivalente di una storia di formazione in tempi di streaming e serie tv per tutta la famiglia.
Occhei, non voglio dire che Atypical non mi sia piaciuta, anche perché ha quelle caratteristiche che te la fanno piacere per forza: un protagonista che ispira tenerezza e una buona dose di empatia, battute simpatiche, una trama lineare e abbastanza coinvolgente, citazioni carine, comprese quelle al mondo dei pinguini, di cui Sam è estremamente innamorato e di cui non fa che evidenziare la superiorità rispetto agli esseri umani. L'asocialità di Sam sembra un po' l'ennesima raffigurazione di un adolescente difficile che ci fa sorridere attraverso uno schermo, e come già detto anche provare empatia, chi più chi meno, come quando dice che le feste senza musica e senza persone sarebbero molto più belle, per non parlare delle solite battute su quanto le ragazze siano creature enigmatiche e incomprensibili, e così via con altre frasi impiegate già piuttosto massicciamente nelle commedie del genere.
L’intento è indubbiamente quello di parlare di una malattia di cui le persone che ne sono affette sono spesso relegate ai margini della società a causa dei pregiudizi e della scarsa conoscenza in materia. La serie vuole infrangere alcuni di questi falsi miti, come che gli autistici non provino empatia o non siano adatti ai rapporti umani, facendolo in maniera simpatica e leggera. Come diceva Calvino, leggerezza non è superficialità. Ma il rischio che si corre, e in cui si inciampa, è quello di normalizzare e livellare la narrazione, rendendola una storia non diversa da tante altre, e assimilando così la figura del ragazzo affetto da autismo a quella di un nerd sociopatico.
Trattare l’anormalità a tutti i costi e volerlo fare in maniera normale, seguendo gli stessi canoni e stereotipi che si adottano già troppo frequentemente, non rende giustizia a nessuno e non aiuta nessuno. Poi ovviamente c’è un intento che per molti è primario, che è quello di raggiungere la più larga fetta di pubblico possibile, a discapito anche della qualità intrinseca del prodotto, ma che parte anche questo da un presupposto che si tende a non mettere in discussione, ossia che un prodotto, per raggiungere i più, deve necessariamente scendere di livello e arraffare alla buona un po’ di argomenti seri condendoli con una generosa dose di buonismo e semplicioneria. In questo c’è ipocrisia da una parte e l’altra dello schermo, perché sempre più spesso gli autori decidono di infarcire prodotti mediocri con sprazzi di argomenti socialmente rilevanti, trattandoli in maniera a dir poco grossolana, e dall’altra lo spettatore che è pronto ad accettare i suddetti temi solo se edulcorati e finemente trattati. E un atteggiamento del genere non aiuta a cambiare mentalità, anzi, porta alla produzione di contenuti omologati e mai innovativi, con una grande vittima, che è il cinema, oltre che la società che rispecchia.
Tornando ad Atypical, potremmo riassumerlo con un’immagine chiave: un pinguino con una maglietta con su scritto ''Normal People Scare Me’'. Spiegazione dell'ardua metafora: irresistibile e pieno zeppo di luoghi comuni.
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