Adagiato e inerme nel mio soffice alveo, frontiera tra Morfeo e la Terra della Ragione, rassegno orecchie e cuore nelle cavità di "Helleborine", tra le sue mille arzigogolate pieghe barocche, le superbe sessioni di fiati, l'incanto sonoro di Caroline Crawley, i controcanti ricamati ad hoc di Jemaur Tayle. Parlatemi ancora con serafica dolcezza delle vicende di vita della gente comune, del paesaggio proiettato nelle finestre delle vostre camerette di Bournemouth, campagne rinfrescate a pioggia e lunghi pomeriggi di grigio tepore invernale. Il sole è una promessa lontana, oggi ci si scalda solo con le struggenti melanconie che giungono dalle mie casse acustiche, porte di una dimensione parallela e passata, fulcro dei fasti vittoriani di un'Inghilterra di fine secolo. Come tutte le band di culto, gli Shelleyan Orphan son rimasti in penombra, distanti dal proscenio e dai suoi riflettori, padroni di una propria dimensione sinergica ma distante dalle altre.
Ispirati dal poeta Percy Bysshe Shelley e dalla letteratura romantica di fine 800, Crawley e Tayle pubblicano nel 1987 il loro album d'esordio per la Rough Trade, insolito ed anacronistico prodotto in dissonanza con le leggi musicali del periodo e affine, in grandi linee, solo a pochissime altre band, i connazionali Dream Academy (quelli della splendida "The Love Parade") su tutti. Il loro rock pastorale e il barocco chamber rock propagato dalle atmosfere di questo capolavoro sono uno spartiacque nella miriade di sottogeneri che fanno capo al filone folk, il punto di transizione tra la musica antica e il sorprendente riadattamento al pop convenzionale, convergenza palesata nella ensamble strumentale composta da elementi di musica leggera ed altri propri della classica da camera come oboe, violoncello, flauto, arpa, contrabbasso, viola e violino. Paesaggi sonori matidi di rugiada, echi di un sophisti pop personalissimo e per nulla banale fanno capolino dalle tracce di questo lavoro e attirano nuove (poche) orecchie esigenti, persino quelle di Robert Smith che li arruola come gruppo spalla (insieme a Mark Almond) per il promozionale "Disintegration Tour" dei Cure. L'indiscusso estro musicale e lirico degli Orphan partorisce canzoni che si collocheranno a pieno titolo nei mastri registri del patrimonio musicale britannico,"Epitaph Ivy and Woe"," Cavalry of Cloud","Anatomy Of Love", l'omonima "Helleborine" e la struggente "Melody Of Birth" brillano ancor oggi di luce propria, a trent'anni da quel magico 1987, illuminando ed ispirando nuove band, The Apartments e Tindersticks tra tutte.
Gli Shelleyan Orphan come altre band del periodo, sono nati, cresciuti e scomparsi, muovendosi nel sottobosco musicale britannico, quello dai cliché prestabiliti e inderogabili. Lo scorso 5 Ottobre 2016, dopo una lunga malattia, Caroline Crawley si è congedata dal mondo, mettendo definitivamente la parola fine alla favola Shelleyan Orphan che nel frattempo erano ritornati nel 2008 con il nuovo album "We Have Everything We Need" dopo sedici anni di inattività.
Oggi, volutamente abbandonato al trasporto, mi faccio condurre nei territori che "Helleborine" ha tracciato nella mia anima sin dal primo ascolto, se avessi messo un euro da parte ogni volta che questo disco mi ha emozionato, oggi sarei un nababbo.
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