Si scrive Six Organs of Admittance ma si legge Comets On Fire.

No, non sono né pazzo né ho seri problemi di vista, ma l’ultima fatica di Ben Chasny aka SOOA, non è in pratica un suo disco.

Mi spiego meglio: non lo è nel modo in cui uno se lo aspetterebbe. Non c’è quasi niente di quello che normalmente compone un album a nome SOOA: niente drones, niente fingerpicking acustico, niente scale indiane, niente cantautorato psichedelico.

Il motivo è semplice: il buon Ben ha deciso di dare sfogo alla sua vena noise chitarrosa e quasi cafona, e ha richiamato i vecchi amici di una volta, i conterranei Comets On Fire, a suonare con lui. Per chi se li fosse persi, stiamo parlando di una delle più rimpiante band heavy psichedeliche che la California ci aveva gentilmente donato a inizio millennio, in ibernazione forzata dal 2006.

Il leader Ethan Miller era già amico di Ben Chasny e i due, tra 2002 e 2006, si scambiarono favori e schitarrate nei reciproci album del tempo. Un disco rimpatriata, quindi, questo “Ascent”?  Sì e no, per varie ragioni.  Se alcune tracce sembrano la brutta copia tamarra della furia noise psych che infervorava dischi in cui Miller e Chasny incrociarono le sei corde (nello specifico Field Recordings From The Sun” e “Blue Cathedral” dei Comets On Fire e “Compathia” di SOOA ), come nel caso dell’iniziale “Waswasa”, d’altro canto, e dopo un ascolto attento, si nota subito che la classe e la furia degli ex Comets è sempre viva e vegeta. Cosa che ritenevo impossibile, vista la pessima china intrapresa dalla nuova creatura di Miller, gli Howlin Rain, ormai dediti a una specie di Rock FM americano improponibile.

E invece, vuoi per la rimpatriata con Chasny, vuoi per la scelta di rivisitare alcuni suoi brani originariamente acustici in chiave rock, “Ascent” merita un po’ di attenzione. Sul lato autocover, spicca una “Close To The Sky” che da folk song indianeggiante diventa un blues cosmico dal crescendo ultrasonico, oltre che “A Thousand Birds” trasfigurata da folk noise a cavalcata heavy psych. Interessante lo sviluppo “robotico”, quasi QOTSA di “Even If You Knew”, la coda Floydiana di “Visions (From Io)”, come gli intermezzi placidi di “Solar Ascent” e “Your Ghost” e la rarefatta e bellissima “They Called You Near”.

Una volta tanto un disco prescindibile nella lunga discografia di Ben Chasny, ma di sicuro non un brutto disco. Perché, come dico sempre, Chasny è uno dei pochi artisti recenti senza un album brutto all’attivo. Scusate se è poco.

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