Portiamo un po' di Famiglia scheletrica su DeBaser.

Gli Skeletal family sono un gruppo post-punk formatosi nello Yorkshire nel 1982, proiettandosi in quel nutrito firmamento di band che aveva preso i lasciti del punk e li stava sempre più trasportando verso territori gotici. Ereditando il nome dal pezzo Chant of the ever circling skeletal family di David Bowie (da Diamond Dogs), gli Scheletri sono capitanati dall'affascinante Anne-Marie Hurst, capelli tintissimi e un bel Nostril al naso, che poco tempo più tardi formerà i Ghost Dance insieme al chitarrista Gary Marx, autore e co-autore di alcuni dei pezzi più immersivi dei Sisters of mercy, anch'egli all'epoca appena fuoriuscito dal proprio gruppo maestro dopo i dissidi con Andrew Eldricht.

In questo fiume travagliato che era la scena goth inglese di quegli anni, con questo loro secondo LP gli Skeletal definiscono e immortalano il proprio stile, lanciati dal singolo di discreto successo Promised land (il loro piazzamento più alto nella celebre UK Indie Chart di quegli anni) e partoriscono un album compatto, trascinante dal primo all'ultimo pezzo; la Hurst, con la propria voce profonda e sciamanica, non disdegnando improvvise impennate aggressive degne del punk che fu (Far & Near), è la figlia dark di Grace Slick: ecco trasfigurata la cantante dei Jefferson Airplane ed eccone lo spirito che viene risucchiato dentro pezzi come l'antemica e sguaiata This time, dove all'America hippie degli anni '70 si sovrappone bruscamente un travolgente bad trip che si dipana fra le strade dell'Inghilterra di metà anni '80. Gli Skeletal portano il post-punk su territori gotici ma senza rinunciare all'ecletticità (si pensi al sax in Move e alla tromba in What happened?), lungo dieci pezzi che hanno l'implicito retrogusto di una psichedelia virata al nero, come l'abbaglio irrazionale di un viaggio lontano da una città industrializzata, lontano dalle sue regole e dalle sue ipocrisie, e che eppure continua a tormentare i nostri con la sua ombra. Fra post-punk, goticità trascinante e industriale (l'ossessiva opening track, Hands on the clock) e tocchi di psichedelia nera, con pezzi come il singolo di lancio (la già citata Promised land) gli Skeletal family non disdegnano neppure delle incursioni in un pop elettrizzato e acido (in realtà la melodia è una costante di tutto l'album), consegnandoci una perla di classico gothic rock di qualità, un disco che tutti gli amanti del post-punk e dei suoi figliocci dovrebbero ascoltare almeno una volta.

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