Nell’ormai lontano 1990, gli Slayer pubblicarono quello che sarebbe stato il loro ultimo (almeno finora…Speriamo che il rientro del polipo Dave Lombardo faccia la differenza) capolavoro, l’eccellente sotto tutti i punti di vista “Seasons In The Abyss”, che vedeva confermata la tendenza di Tom Araya di prender parte alla scrittura dei testi, già iniziata dall’ottimo “South Of Heaven” di due anni prima.
Dopo una lunga e triste serie di vicissitudini, che portarono alla dipartita di Dave dalla band giustificatosi con un banale “assistenza alla moglie dopo il suo parto” ma che lasciava presagire che l’affiatamento musicale e filiale tra i quattro assassini non era più quello dei vecchi tempi, la band, che ormai non pubblicava più un album da quattro anni rovinando la media precedente che vedeva un capolavoro per biennio, decise di non restare con le mani in mano e arruolò l’eccezionale ex-Forbidden Paul Bostaph, che si trovò a suonare nel suo primo album degli Slayer, ”Divine Intervention”.
Fortemente acclamato al tempo della sua uscita da critica e fans, il disco, che veniva visto come l’ennesimo capolavoro del combo losangelino, subì però una forte ridimensionata in negativo nel corso del tempo.
Sebbene, infatti, il contenuto del disco fosse veramente ottimo, veniva a mancare la rabbia e la violenza che avevano caratterizzato e portato alla consacrazione i precedenti lavori della band, che date le difficili circostanze (con la possibile accusa del “You sold out” e leggermente debilitata dagli eventi del tempo) non era certamente biasimabile, e anzi portò all’interno di questo buon cd alcune soluzioni veramente ottime e, oserei dire, quasi geniali.
Ma cosa mi spinge a dire tutto ciò?Addentriamoci dunque all’interno del disco, che vede un’ottima “Killing Fields” aprire le danze (o i rituali satanici?Mah) ma lasciando l’amaro in bocca ai fan che si trovarono spaesati di fronte al frequente uso di mid-tempos, per carità, ottimi e a tratti marziali, ma che lasciavano frementi in attesa di una bella scarica di tupatupatupa liberatorio: l’opening song, ad ogni modo, è ottima e si conferma tra le migliori dell’album, che ormai con i vecchi Slayer degli anni Ottanta aveva da condividere solo gli orrendi testi e poco più.
Si continua con una “Sex.Murder.Art.”, canzone che personalmente non tollero per la totale assenza di caratteristici solos slayeriani e per il testo incentrato su stupro e assassinio che si conferma tra i peggiori mai letti da me (forse era meglio che Araya continuasse a studiare medicina?).
“Fictional Reality” leggermente sottotono, seguita da una selvaggia “Dittohead”, che porta finalmente il trademark slayeriano, con un iniziale tupatupautpa che però serve solo ad introdurre un mid-tempos molto simile a quanto già sentito su “South Of Heaven”.
Quinta traccia la buona “Divine Intervention”, seguita da una song che davvero non riesco ancora a mandare giù nonostante gli innumerevoli ascolti: è “Circle Of Beliefs”, forse la peggiore song dell’intero album.
A questo punto per me la delusione si fa abbastanza consistente, ma ecco arrivare una cosa inaspettata e assolutamente geniale: si tratta dei soli venticinque secondi d’apertura ad “SS-3”, la settima track neppure troppo eclatante nel seguito, biasimata da Max dei Sepultura per i suoi contenuti nazisti.Ora, sentitemi bene: solo l’intro della canzone vale i quindici euro di prezzo del disco, è uno dei riffs più irregolari e belli che abbia sentito nel Thrash, una gran perla del disco che mi ha spinto a rivalutarlo assolutamente.
Una track sottotono,”Serenity In Murder” (i titoli lasciano sempre perplessi…) fa da ponte ad una delle canzoni più strane e controverse che abbia mai sentito in casa Slayer: ”213” ha un’intro con chitarre melodiche e semiacustiche,sempre ricorrenti dopo delle parti cosiddette “che spaccano”: la canzone lascia ben presagire il cambiamento in casa Slayer,che due anni dopo avrebbe pubblicato il pessimo “Undisputed Attitude” e il solamente discreto “Diabolus In Musica” fino al trascurabile “God Hates Us All”
Finita la pesante “213”,troviamo la conclusiva “Mind Control”,un’ottima song che potrebbe tranquillamente essere contenuta nel violentissimo “Reign In Blood” d’otto anni prima per la violenza e il pogo che sprigiona.
Alti e bassi,ottime soluzioni alternate ad alcune decisamente banali,mid-tempos al posto della classica forma Thrash:questo disco ai primi asolti mi ha fortemente confuso le idee,lasciandomi indeciso per diverso tempo se fosse un capolavoro o un fiasco totale:oggi,dopo averlo digerito,posso assicurare che il disco,sebbene sia il lavoro che segna ufficialmente il declino degli Slayer,non è né un fiasco né un capolavoro,ma semplicemente un buon disco,e solamente i 25 secondi introduttivi al riff di “SS-3” valgono il prezzo del biglietto.
Consigliato solo ai fan duri e puri del gruppo: se volete cominciare ad ascoltare gli assassini dovete ascoltarvi gli immensi capolavori Anni’80, quando i soldi si cercava di prenderli e non di guadagnarne ancora di più.

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