1)

Allora, comincerei col dire che per il ragazzino luludia i Soft machine hanno avuto un’importanza clamorosa. E questo ben aldilà dello specifico musicale e della favolosa vividezza dell’ascolto in erba.

Che la loro importanza era allora, in quanto principi del reame più favoleggiato da una certa cultura dei settanta, soprattutto simbolica.

E credo che, almeno per me, l’increscioso fatto si debba alla lettura di un libro, ovvero “Il rock inglese” a firma Fumagalli, Bertoncelli, Insolera.

In quel libro, mia prima bibbia rock, le pagine più ardenti e ispirate erano quelle del Bertoncelli, uno dotato di lingua fiammeggiante (erano i settanta bellezza!!!) e di uno sguardo di insieme capace davvero di andare oltre.

Certo, non era alieno da alcune tipiche pesantezze dell’epoca (di nuovo, erano i settanta bellezza!!!) tra le quali spiccava un odio viscerale per la musica di consumo e, di conseguenza, un certo snobismo nell'analizzare fenomeni come Beatles e Stones.

Ma è anche vero che fu proprio grazie a quelle pesantezze che il nostro divenne il rabdomantico cercatore dell’acqua più pura. Tipo appunto la sorgente Canterbury, da lui talmente mitizzata che credo di aver passato la vita a cercare i dischi da lui consigliati…

2)

Che emozione sto dischetto che non ascoltavo da anni: è il primo dei Soft Machine…

Che poi ieri mi son riascoltato pure il secondo…

E allora che faccio, quale dei due recensisco? Boh, poi vediamo...intanto cominciamo a scrivere…

Dunque vediamo, vediamo...i Soft machine…

Beh, potrei cominciare con “figli di un’attitudine”…

Si, si, si...

Allora...figli di un’attitudine capace di fondere mirabilmente jazz pop e avanguardia, i Soft Machine son stati, finché le diverse anime del gruppo son rimaste insieme, un favoloso e ribollente calderone di meraviglie.

Che ho scritto? Le diverse anime del gruppo? Si, ho scritto così...

Ok, allora recensisco il primo…

Che nel primo almeno c’era ancora il lunatico Kevin Ayers, uno che aveva il gusto della canzoncina bizzarra come nessuno e che, tra l’altro, ha scritto il mio brano preferito dei nostri, ovvero “Why are we sleeping?”. E “Why are we sleeping?” appunto se ne sta qui, verso la fine e lui la conduce con il suo ironico e iper flemmatico baritonale. Trattasi di marcetta con favoloso organo psichedelico, voce very british e coretto iper psicotico. Qualcosa tra l’avanguardia, il pop deviato e uno scherzo ben riuscito…

Ma forse è meglio cominciare dall’inizio…

3)

Si parte con la voce di Wyatt, magica nel suo essere fatta di niente, se non qualcosa che sottilmente s’incrina.

Tutta intensità soul e libertà jazz, intona una specie di favolosa ballata d’avanguardia dove, forse, più che una voce è uno strumento solista.

Sia quel che sia, è qualcosa che solo Wyatt può essere, fate voi se esercizio zen, dialogo con se stessi o semplicemente magia assoluta.

E vorresti che durasse all’infinito …

Poi, certo, io sono un cane a parlare di musica. Sentite che dice, a proposito di quest’introduzione, il biografo di Wyatt: “Una doppia elica di linee vocali gemelle che si attorcigliano quasi prive di accompagnamento”---ok. La classe non è acqua…

E comunque ripeto, vorresti che durasse all’infinito…

E quasi provi un po’ di fastidio in quell’improvviso accelerare e in quell’organo che picchia duro.

Solo che il bello dei Machine è proprio l’essere una favolosa unione dei contrari e il tutto si trasforma quasi (e ovviamente sottolineo il quasi) in un normale brano rock dell’epoca…

Poi arriva uno strumentale sornione e indolente che si trasforma via via in una sarabanda chiusa da fantastici tonfi d’organo.

E dopo il reprise del brano iniziale, con Wyatt che canta su un folle registro acuto, ecco che i nostri ti piazzano una canzoncina psicotica…

Il testo, per una volta, val la pena di riportarlo intero (tanto è brevissimo)…

“Sono alto all’incirca uno e settanta

Mi piace fumare, bere e darci dentro

Ho un completo giallo fatto da Pam

E ogni giorno vorrei un uovo e un po’ di tè

Ma più di tutto mi piace parlar di me”

Cazzo, sembra Syd Barrett!!!!

Ma, per il momento, basta...

4)

Ah, erano davvero fighi i Soft. Ed era anche gente che non aveva paura di passare dal grande al piccolo e dal piccolo al grande.

Una canzoncina per loro aveva pressapoco lo stesso valore della più avventurosa avanguardia. Quindi cosa c’era di meglio che tenere insieme quei due mondi apparentemente cosi distanti?

Tanto quel che contava, come insegnava il maestro Jarry, era l’arte della contraddizione e del riequilibrio patafisico. Ovvero, complice una specie di scienza dell’immediatezza, mescolare l’alto e il basso fino a che nessuno dei due potesse più riconoscersi.

Ecco allora che calembour, siglette patafisiche e schegge di non so cosa si azzuffavano con mirabolanti fughe espansive segnate dall’energia del nuovo rock e dal gusto per il capriccio (o forse il raccapriccio). -e, a dire i vero, questi sono appunti che avevo preso ieri per il secondo disco, ma credo faccian la loro porca figura anche qui-

Ma dicevamo; capriccio/raccapriccio…

Che adesso, per dire, sto ascoltando il primo album, son più o meno a metà, e i nostri son appena passati, PREVIO INTERLUDIO DA CIRCO, da territori hendrixiani (robetta invero un po’ inusuale per loro) a una di quelle fughette espansive che dicevamo.

E ora, ora che ho finito un po’ a fatica di scribacchiare la frase di cui sopra, siamo a una marcetta (un’altra marcetta?...si, un’altra marcetta) che via via diventa iper accelerata…

(son momenti presi a caso, ma qui, dove prendi, prendi bene)

5)

E comunque...

E comunque...

E comunque pensate ai contrari che, anziché far gli offesi o i sostenuti, si fanno ciao.

E pensate a una voce (quella di Wyatt) che grazie a una specie di dolcezza soul e un ammaliante zigzagare jazz, alleggerisce e rende fluidi i momenti di più folle avanguardia.

E all’altra voce, quella di Ayers, di molto alleggerente anche lei, col suo baritonale ironico e, e….e...non mi viene un’altra parola...quindi accontentatevi del baritonale ironico...

Pensate (oddio pensate l’ho già scritto troppe volte)…

Immaginate allora...si immaginate onde di luce birichina che svaniscono alla stessa velocità con la quale sono arrivate…

O fatevi tornare alla mente il vostro dribblomane preferito quando scarta di lato…

6)

Peccato che il meraviglioso equilibrio dei contrari abbia poi finito per rompersi.

E se il secondo album, pur senza Ayers, continua a offrir meraviglie, “Third” parla un’altra lingua..

Io l’avrò ascoltato mezza volta “Third” e mi limito a dire che non è roba per me…

Tranne “Moon in june”, dove Wyatt suona da separato in casa…

Ma “Moon in june” è un’altra storia…

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