"I went away to see
an old friend of mine,
his sister came over,
she was out of her mind [...]
She keeps coming closer
saying I feel it in my bones
Schizophrenia is taking me home"
Sono queste alcune righe della canzone di apertura di "Sister", l'album che i Sonic Youth diedero alle stampe nel 1987.
La tentazione è di leggerle metaforicamente e vedere nel vecchio amico il rumore, e nella sorella che cerca di ritrovare se stessa, la melodia e la forma canzone.
Già, perché in questo disco i Sonic Youth perfezionano il cammino intrapreso l'anno precedente con lo splendido "Evol", cammino che li porta a far confluire la sperimentazione sonora e la ricerca di nuove tecniche chitarristiche con la forma musicale pop per eccellenza, la canzone.
In questo è difficile non scorgere l'influenza dei coevi Dinosaur jr che nello stesso anno sfornano la loro opera più celebrata, "You're Living All Over Me", in cui non a caso troviamo Lee Ranaldo alla voce nella canzone di apertura. È noto anche l'apprezzamento di Thurston Moore per il "genio" melodico e sonoro di J Mascis.
Anche il sound di "Sister" è vicino a quello di "You're [...]", sfuocato a causa della distorsione del suono, ma saturo e caldo. Si può vedere un parallelismo anche nei dischi che le due band sforneranno l'anno successivo, il celebrato "Daydream Nation" e il meno celebrato ma comunque ottimo "Bug", in cui l'approccio noise viene spinto fino a sposare il proprio stesso opposto, ovvero una cura maniacale e certosina del suono e della composizione.
In "Sister" troviamo quindi elementi tipici della canzone, la cura per il testo e le parti cantate, fuse con le classiche cavalcate noise in cui le chitarre Moore e Ranaldo dialogano a creare la tipica tensione che caratterizza il suono della band alla fine degli anni '80.
Tutte le tracce sono ottime, per cui il disco fluisce piacevolmente senza intoppi, nonostante le sonorità spesso ostiche.
In "Pipeline/Kill Time" Lee Ranaldo perfeziona uno stile recitativo semi-parlato che tornerà spesso in futuro, particolarmente azzeccato nel contrapporre il controllo apparente di un canto mono-tono al magma sonico sottostante.
"Tuff Gnarl" apre con Thurston Moore in una splendida e accorata vena melodica, subito sopita in una classica deriva noise.
"Beauty Lie in the Eye" è Kim Gordon in tutta la sua malinconica dolcezza. E il fatto la bellezza stia nell'occhio e non negli occhi, fa pensare ad una scarsa connessione tra i due emisferi cerebrali, causa talvolta di eccessi razionali o emotivi.
Il disco chiude con "Master-Dik", riuscito tentativo di contaminazione con l'hip hop.
Carico i commenti... con calma