Questa band ha suonato prevalemtemente rock alternativo e post punk, ed era più o meno la candidata a raccogliere l'eredità dei loro concittadini Husker Du e Replacements... Aveva venduto poco, aveva fatto molto e molto di buono, dando il giusto sfogo alla propria creatività in tutte le direzioni. Addirittura, in un anno pubblicarono tre dischi. Poi, arrivarono i novanta...
In un tripudio di serafini e jeans da bancarella, Converse sudicie e chitarre scorticate, infondo, era giusto che i Soul Asylum giungessero al grande pubblico, per quanto sodo avevano lavorato nella decade precedente, nella penombra condivisa con tante altre bands dietro la anonima definizione "alt rock".
Epperò, bisogna pur dirlo, chi li ascoltava da tempo (non me) non potè fare a meno di rimarcare i cambiamenti d'approccio musicale, in quella che diventò una curiosa band di root rock radiofonico. Non che David Pirner e compagni avessero del tutto ignorato, in precedenza, la loro vena acustica, ma neppure si può dire l'avessero forzata fino a questi livelli.
La storia dice che arrivarono "Grave Dancers Union" e "Runaway Train", e tutto per loro cambiò. In una rapida evoluzione verso la fine, non materiale ma creativa, pochi anni dopo il botto del 1992 seguì questo "Let Your Dim Light Shine". I Soul Asylum erano, per un adolescente che nulla sapeva di tutte le musiche del passato, la band più onesta e credibile in circolazione; David Pirner, anche se fidanzato pro tempore della prezzemolina Wynona Ryder, era uno che viveva le cose di noi gggiovani della strada anche quando era al gabinetto sulla tazza. Il suo vibrato sofferto è da record mondiale (a tutt'oggi insuperato), ed è autentico, così autentico da sembrare falso, troppo paraculo. Invidiai quella sua voce ed il modo in cui cantava il verso iniziale di "Runaway Train": "Call you up in the middle of the night"... Soprattutto quel "call you up" provai non poche volte ad imitare...
Una posa, quella di Pirner, od una quotidianità da condividere ed esportare in giro per il pianeta? Sentimenti semplici, storie di quotidiana miseria: i Soul Asylum sembrano una band di ambasciatori Onu in un'America da quarto mondo. E te la raccontano, te la cantano, con una certezza di sé che li erige a portabandiera di questa nazione di miserabili, con una tale consapevolezza che sembra essergli arrivata un'investitura dritta dal cielo. Ed allora il primo singolo nonché primo brano di "Let Your Dim Light Shine" s'intitola proprio "Misery", e fu subito successo. Nasce nel ‘95 la "Frustrated Inc.", multinazionale che produce miseria. Proprio come i Soul Asylum, che producono miseria nelle loro canzoni e (finalmente) s'arricchiscono. I ragazzi di Minneapolis diventano imprenditori della disperazione, grossisti dell'emarginazione, titolari di licenza di import/export di lacrime, speculatori del disagio esistenziale. Furbetti del quartierino popolare.
La tracklist sciorina roba come "Promises Broken", "Eyes Of A Child" (donna un po' lenta, poverissima e con un mare di figli, che forse forse secondo Pirner, pensa te, è l'unica ad aver capito tutto dalla vita), "Just Like Anyone", "Nothing To Write Home About"... La Musica? Più o meno come quella del precedente "Grave Dancers Union". E cioè rock radiofonico, quasi anni ottanta nei ritornelli, e root o folk rock nelle strofe quanto nel suono, a parte la sostanza di una chitarra ritmica che fa da vero perno, sempre molto sorda e dura.
Il chorus di "Misery" sembra venire da un lp dei Poison, dei Def Leppard... Ve li ricordate bene gli anni novanta? Non avete dunque rimosso dalla mente certe bands colle bandane ed i capelli cotonati che decidevano di suonare un po' più grunge per fare cassa, o certi vocalists che si tagliavano i capelli, si coprivano i tatuaggi, si davano all'acustico? I Soul Asylum, al contrario, nei novanta, mentre i capelli rossi di Pirner s'allungavano, si mettevano a cantare (e per la prima volta nella loro carriera) ritornelli anni ottanta. L'FM rock torna in "Hopes Up", ed in "Tell Me When", giocata quest'ultima sulla bontà del giro di chitarra solista. La strofa, come spesso accade, è un folk orecchiabile e liscio, magari senza grande carattere. Strofa folk-root/ritornello radiorock: funziona anche se al posto del folk si trova il country-rock n'roll nella graziosissima "Bittersweetheart". "Mysery", comunque, è l'esempio principe.
Riffs molto potenti anche se non originalissimi per "Shutdown" e "Nothing To Write Home About", due canzoni persino simili tra loro, e con la stessa frenata nel momento in cui si pronuncia il titolo. Simpatica la diagonale "Crowl", con quelle strofe sofisticate su cui si schianta un ritornello hard rock che sta proprio fuori dal tempo con quei "see ya see ya later maybe one more beer". Suggestiva la ballad "Promises Broken", intonata dalla sonnolenta quanto efficace voce del chitarrista solista, che però sembra fuoriuscire direttamente da "Hotel California" degli Eagles: qui l'albergo, comunque, si chiama "Satellite". Interessante "Caged Rat", in cui viene fuori l'anima più estrema, tipica di un passato a pochi noto: qui brevi fraseggi free-jazz, pop da quattro soldi e sorda devastazione chitarristica si mescolano in un riempitivo-atto dimostrativo... Il problema sta nelle intenzioni: nel '95 il topo in gabbia non era quello di questa canzoncina, ma quello di "Bullet With Butterfly Wings" di Corgan...
L'unica roba forse originale, se rapportata alla loro ed alla altrui discografia, potrebbe essere l'altro singolone "Just Like Anyone": ritornelli tutti da gracchiare col testo d'uno scioglilingua, uno special potentissimo per la voce di Pirner e per i jingle-jangle sonici della chitarra, il tutto dentro una struttura hard-college rock. Il finale poi è da sgolarsi, cosa che riesce sempre bene al rosso.
Un disco-bis del successone del '92, irresoluto e meno brillante, privo di un brano paragonabile a "Runaway Train" per efficacia e traducibilità in biglietti di banca. Meno valido ma tutto orecchiabile, alle volte più liscio (melodie) ed alle volte più aspro (rock) del predecessore, spesso dunque non alla sua altezza se si parla della qualità degli sposalizi tra melodico e ruvido.
L'inizio della fine di un'ottima band che s'era in precedenza ben destreggiata non trovando la distribuzione di massa, e che tre anni prima di questo disco s'era già comportata ottimamente in questi sentieri radiofonici e meno arditi.
La Ryder presto lascerà il "vibrante" David come il successo abbandonò i Soul Asylum. L'unica cosa che non li abbandonò fu questo gusto di far musica root radiofonica. A quest'ora, successo o non successo, ci saremmo ritrovati, nelle successive uscite, un altro paio di buoni, fors'anche ottimi, dischi di punk, garage e rock alternativo. Alternativo a questo, perlomeno.
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