Dopo l’uscita di “The Suffocating Darkness” nel 2014, i Soulburn tornano in pista con “Earthless Pagan Spirit”, mostrando un’identità maggiormente definita rispetto agli esordi e staccandosi da Asphyx e dal loro alter ego concettuale Grand Supreme Blood Count, i cui membri ritroviamo quasi interamente nella nuova formazione. Tuttavia tale indipendenza non sembra giovare alla proposta musicale degli olandesi: se il lavoro precedente, pur non essendo un album straordinario, si situava ancora nel solco targato Asphyx, con uno stile più marcatamente black metal oriented, la nuova fatica si rivela deludente.
Meno d’impatto rispetto al passato, con passaggi doom affascinanti, ma non sempre ben calibrati, “Earthless Pagan Spirit” mostra spiccati legami con Bathrory e Celtic Frost piuttosto evidenti che si concretizzano nelle atmosfere dei primi quattro brani, dilatati nella durata, raffinati nella forma: seppur derivativi, tuttavia discretamente apprezzabili. Dall’opener “Where Splendid Corpses Are Towering Towards the Sun”, su base death, veloce ed aggressiva, alla coppia formata da “The Blood Ascendant” e “Howling at the Heart of Death”, in cui il doom opera da rallentamento ai due stili più estremi, fino ad arrivare a “As Cold as Heaven’s Slain”, brano che riassume le caratteristiche principali della band. Ma a partire da “Withering Nights” il livello scende, anche per scelte non sempre felici, quali l’introduzione di una voce femminile e ed arpeggi fuori luogo che venano di gotico uno stile già di per sé piuttosto eterogeneo; aspetti che ritroviamo in “The Torch”, pezzo dallo stile vagamente epico ed heavy, in cui le perplessità aumentano. “Spirit Asunder” alza leggermente il livello, ma soffre della sua stessa lunghezza, mentre, dopo un outro pressoché inutile, l’ultima traccia, “The Last Monument Of God”, piuttosto varia e godibile, acquista freschezza con inserti thrash alla minestra blackened/doom spesso insipida e ripetitiva.
Bilancio dunque non brillantissimo per il monicker Soulburn, nonostante interpreti di gran classe, da Eric Daniels, dal riffing tecnicamente ineccepibile, a Twan Van Geel, vocalist dall’indubbio talento e versatilità: potenziale da cui aspettarsi maggiore ispirazione e coesione, sia sonora che dal punto di vista del songwriting, non sempre all’altezza. Alla prossima!
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