Dice poco di nuovo, l'ultimo celebrato film di Spike Lee. Tecnicamente e artisticamente non manca nulla: attori, musiche, montaggio, fotografia. Tutto scorre bene, anche se 135 minuti di ridondanza su neri e bianchi sono forse un po' troppi. Un film politico, squisitamente politico, che nei minuti finali abbandona qualsiasi diaframma ed enuncia a chiare lettere il suo messaggio: l'America di oggi non è cambiata, è ancora razzista come negli anni Settanta.
Quando si fa un film politico, bisogna avere qualcosa di obliquo da insinuare, bisogna aggiungere un corollario – di qualsiasi tipo – al semplice messaggio che potrebbe lanciare un esponente di partito. La mia sensazione è che invece Lee abbia appiccicato un po' grossolanamente una storia da raccontare a un messaggio politico, dando l'impressione che la narrazione sia sempre in secondo piano rispetto alla costante, monolitica, invettiva politica.
Una storia che non ha granché da aggiungere alla questione Ku Klux Klan, che non si caratterizza certo per il suo spessore concettuale. E allora non ha molto senso tornare per due ore e oltre su concetti basici come “i negri parlano male” eccetera. Il copione è d'una ridondanza rara. Non è necessario: il tanto vituperato Tarantino ha illustrato in modo molto più efficace il Kkk, in pochi minuti di Django. Essendo degli idioti, vanno trattati come tali. Invece Lee insiste, continua a metterli in ridicolo, dando conferma che la sua ossessione nera spesso tocchi livelli molto bassi.
Forse inconsciamente, Lee prende per il culo i razzisti con dei mezzucci. Brutti, ciccioni, mezzi ritardati, con mogli grasse, senza palle, incapaci di accorgersi di essere ingannati. Invece i neri sono bellissimi, intelligentissimi, con capelli crespi meravigliosi e labbra sensuali. Il cineasta scade nel manicheismo e prosegue imperterrito fino alla fine, togliendo interesse a vicende già di per sé poco significative e “già viste”. E alla fine compaiono le immagini di repertorio dei recenti atti di violenza razzista in America e tutto cambia. Il messaggio politico è condivisibile, ma la vicenda ficta che lo sorregge è del tutto inadeguata, pur essendo basata su fatti realmente accaduti.
Più interessanti le questioni a latere. I parallelismi tra bianchi e neri, per i quali i poliziotti sono sempre de “porci”, per i quali al white power si risponde col black power. O la questione di quanto il potere e i media in fin dei conti stiano sempre con i bianchi, e che la polizia ha fatto un buon lavoro col Kkk, ma improvvisamente non ci sono più i fondi e quindi smantellare. E l'idea che in fondo il poliziotto medio creda sempre alla persona bianca, prima che a quella nera. O ancora, l'attacco frontale a uno dei film capitali della storia del cinema, Nascita di una nazione di Griffith.
L'ironia, tanto apprezzata dalla critica, funziona ma fino a un certo punto. Mettere in ridicolo la stupidità dei razzisti è cosa sensata, ma solo se l'espediente si limita a pochi minuti. Prolungare lo scherno per tutto un film significa banalizzarlo, renderlo quasi un gioco infantile. Le risate strozzate del protagonista e dei suoi colleghi, mentre parlano al telefono con Duke, il capo del Kkk, alla lunga sono un boomerang. Si riduce tutto a uno scherzetto, e insieme al trionfo finale del detective Ron Stallworth dà una forte sensazione di film che fa il tifo, più che analizzare, che accusa semplicisticamente, piuttosto che cercare di capire il perché di tanto odio.
Anche il razzismo va studiato, bisogna mettersi anche nei panni di chi odia, e non solo ridicolizzarlo. Lee è troppo di parte, non riesce ad avvicinarsi a quei bianchi collerici, figurarsi se si sogna di mettersi nella loro prospettiva. Ancora Tarantino, in Bastardi senza gloria, dava una lettura incredibilmente pungente del razzismo nazista: “Quando vi entrano dei topi in casa, è normale prendere la scopa per scacciarli”. Qui invece il cinema non si sporca le mani con il lato oscuro dell'uomo, ma come in un pamphlet politico, si limita a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma non avevamo bisogno di andare al cinema per sapere quanto fosse – e sia – brutto il razzismo.
6/10
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