Quinto capitolo per la band di Aaron Lewis ed è proprio il caso di dirlo: niente di nuovo sotto il sole.
E' davvero curioso come gli Staind, dopo aver ottenuto uno sfavillante successo con Break the Cycle, da cinque anni continuino a proporci la solita ricetta che, a lungo andare, sta iniziando a mostrare la corda.
Le cause di questo declino artistico sono sicuramente da ricercare nella mancanza di una degna tecnica musicale e compositiva; se già 14 Shades of Grey dimostrava come i pezzi al secondo ascolto risultavano nella maggior parte banali e scontati, credo che forse sarebbe stato il caso di reiventarsi o al limite tornare sul sentiero già battuto, rincarando la dose di rabbia e cercando armonie più efficaci.
Ma forse ad Aaron piace mangiare sempre riso e quindi continua ad affidarsi a ciò che ha già collaudato e quindi via con il solito album.

Non parte affatto male Chapter V, per le prime cinque tracce a tratti è anche convincente con "Right Here" e "Paper Jesus" a mostrarci le migliori facce del gruppo: la prima leggiadra e malinconica, la seconda grintosa ed efficace che sembra quasi uscita dalla penna del compianto duo Cantrell/Stanley.
Poi l'album crolla e ciò che segue è la fiera del riciclaggio e del già sentito facendo si che al secondo ascolto inevitabilmente si iniziano a scorrere le tracce tra lo sbadiglio ed il prevedibile.
L'album si chiude con "King Of All Excuses" e "Reply" altri due pezzi per i quali vale la pena darci un dignitoso ascolto.
Al termine si prende il cd e ci si accorge che perfino la copertina cade nell'anonimato... un vero peccato.

Anche gli Staind vengono così rimandati ad un futuro esame, quando, si spera, ritroveranno migliore verve ed ispirazione, sperando che qualcuno abbia voglia di ascoltarli e pazienza di aspettarli.

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