Una delle mie prime recensioni su DeBaser trattava proprio di un disco degli Stars, quello precedente a questo che mi accingo a recensire ora.

Il mio rapporto con questa band canadese è qualcosa che trascende l'ammirazione: è molto di più.
E' amore, odio, lacrime sconsolate, lacrime di gioia, nodi alla gola, risa, grida, estasi e depressione.
Un miscuglio di emozioni che non riesco a raffigurarvi modellando delle parole: comunque sono emozioni, emozioni forti, fortissime, da star male e da star divinamente.
La musica degli Stars per me è tutto quello che è l'amore: un sentimento che magari puoi percepire da lontano ma che, puoi star certo, ti fende la pancia quando meno te l'aspetti.

Ho sempre un po' paura a mettere su i loro dischi: la musica me la ricordo perfettamente, ma ogni volta c'è qualche sfumatura che draga il fiume dei ricordi e sputa fuori sensazioni abbandonate, speranze disilluse, sogni infranti e qualche piccolo tesoro dimenticato che scalda l'anima con pacate carezze di nostalgia.
Qualunque cosa potranno essere gli Stars per me, non saranno mai qualcosa che mi provocherà gelida indifferenza.

Ed è triste, perciò, constatare che gli Stars stessi con questo disco la pensino in modo del tutto differente. Dove sono le ustioni al cuore di “Set Yourself On Fire”? Dove sono le tenere nenie di “In Our Bedroom After The War”?
Con questo quinto disco sembra che gli Stars abbiano preso uno straccio bagnato e strofinato la lavagna del loro operato. Strofinato malamente: perché qualcosina si percepisce ancora, ma è ormai disciolto e confuso con il vuoto attorno.
“The Five Ghosts” è un buon disco di electro-pop come tanti. Ci suono buoni spunti di pop “shoegazzato” anche abbastanza teneri (“Dead Hearts” su tutti, per me il pezzo migliore, il più fedele all'antica anima del gruppo), il suadente incrocio di voce femminile e maschile, un po' di synth-pop newromantico stile Prefab Sprout, qualche furtarello ai Phoenix e vari ronzii plasticosi che solleticano le orecchie. La forma c'è, ed è piuttosto discreta.
Ma questo comunque non è un disco degli Stars che ho imparato ad amare. Non è quel gruppo che uno sconosciuto Demone della Bellezza mi spinse ad acquistare a scatola chiusa. Non è quel gruppo che una volta mi suggerì “Ehi, tu, cocco, tu sei cotto di questa ragazza: che aspetti?”. Non è quello stesso gruppo che poi mi disse “Che ci puoi fare: ormai è andata. Sfogati, male non ti farà.”.

“The Five Ghosts” avvolge ma non coinvolge, non ammutolisce. Non ti fa sorridere alle meraviglie della vita e disperare innanzi alle sue storture. Ti guarda un attimo negli occhi e poi distoglie lo sguardo, preso da un pudore prima inesistente. E' musica che può piacere a tutti, pertanto non potrà mai essere “tua”.
E' un album che, se soltanto avessi la facoltà di criticare oggettivamente (se, per dire, fosse stato il debutto di qualche fighetto indie) voterei con un tre pallette senza troppi problemi.
Invece, leggo quel nome sulla copertina e proprio non riesco a sorvolare su quegli arrangiamenti troppo elettronici quando ricordo bene che, una volta, gli inserti elettronici erano solo sfumatura (seppur irrinunciabile) attorno a un corpo musicale ricchissimo, un magma sonoro di tantissimi strumenti che mai (o quasi) risultava stucchevole. Non so dire nemmeno “e vabè” davanti a dei testi così impalbabili poiché dovrei rimuovere dalla mia testa anche quelle dolcissime liriche che, anni fa, spremevano gli occhi anche se non sapevi una parola di inglese. No, non ce la posso fare... sigh.

In finale, se volete conoscere gli Stars, o già li conoscete, ascoltate, e continuate ad ascoltare i vecchi dischi (specialmente i due che ho citato). Questo non è brutto: semplicemente non serve a nulla. Ascoltatevi piuttosto gli XX, i Magnetic Fields, i Perturbazione o i sempreverdi Prefab Sprout se siete sensibili e avete il cuoricione in subbuglio; evitate di deludervi con questo.

Quindi, scusate, non posso votare quest'album. Posso solo far finta che non sia mai stato fatto e aspettare che il sacro fuoco dell'electro-pop viscerale si riaccenda e torni a farci sentire gioiosamente e inconsolabilmente vivi.

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