Un disco come un punto e a capo.

Parole e farfisa, solo questo. Il no come stile di vita. L’incatalogabile come stile musicale. Lo sparire come modo di farsi pubblicità. Lo smorzato come stile, ma stile di cosa?

Fuoriuscito dal fintojazzismo dei Lounge Lizards, dai professionisti brillantinati della destrutturazione, Steve rinuncia allo stile. Rinuncia agl’ismi. Rinuncia agl’istmi dei marciapiedi grigi, ai completi tirati a lucido, al fascino della divisa da businessman. A pettinarsi sapendo già, certo, che nella città che mai non dorme, in questa sua incasellata vita di yuppie, ogni giorno sarà uguale.

Ad andare a dormire sapendo già che non obbedirà alla sveglia domani —ti alzerai con un piede qualunque e lo stropicciato tepore delle lenzuola, il candore assonnacchiato delle lenzuola, lo lascerai solo per pisciare— a quello no, non rinuncerà. Un esilio domestico, una ribellione contro se stessi, autoimposta. Questo, Steve si dice, proprio questo ci vuole.

Ma iniziamo dall’inizio.

NYC, Millenovecentottantuno: frustrazione e elaganza algida, lunari da sbarcare a Wall street e un bel po’ di cacche da pestare. Di notte Steve col suo basso frantuma le certezze consolidate di chi, ignaro e ignavo, crede che “il jazz ormai che ha da dire, qui dove tutto è nuovo?” e te, con le lucertole scapestrate, che fai?, suoni la notte. Nel senso che di notte suoni (e di giorno sguazzi nella finanza), e ciò che suoni è la notte (la notte, sì, del tuo scontento). La notte scalmanata della tua città, ma incaleidoscopiata da un vetro frantumato e gettato là, dietro a un bidone.

Ridendo e scherzando con una cosina così, con un gingillo vertiginoso come questo, sei già nel postmodernismo ma senza sentirne il peso.

Non ci vuole un cazzo a buttare tutto alle ortiche e resettare. Questo, da quel gingillo notturno, l’hai imparato, forse, anzi di sicuro. E ecco che te ne esci, così. Con un asettico e vivo bildungroman, scritto con poco, con pochissimo, e con i sentimenti come messi a scongelare in un frigo vuoto — l’arte di scrivere dischi come si contempla un cartone di latte scaduto. Vite di carta stagnola, con contorno di organetti dozzinali.

Uno strano affare, per davvero. Non so proprio che altro dirvi. Ascoltatelo.

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